Avanti o popolino

Nel giorno della formazione della nuova legislatura. Cose vecchie ormai.

C’è un’immagine che mi porto dietro fin dalle elementari. Il prima e il dopo è confuso fino a perdersi. Una grande tavolata di bambini e c’è anche quello rompiscatole, che fa i dispetti, che disturba. Io mi chino e lo vedo annaspare sotto il tavolo alla ricerca degli occhiali caduti, già tenuti insieme da un compassionevole cerotto. Perdere gli occhiali è sentirsi inermi, spaventati. Giuseppe, credo di ricordare fosse questo il suo nome, tasta il pavimento piangendo, in mezzo a una marea di piedi scalcianti. Il rompiscatole, quello che ne aveva per tutti è solo e disperato lì sotto. A mia volta mi si riempiono gli occhi di lacrime. Trovo gli occhiali e glieli porgo. Non credo che questo mi salverà dalle sue alzate di ingegno, dalle matite spezzate o che altro. Poi uno nella vita diventa quel che diventa, ma può anche essere che certe cose concorrano a farti diventare quel che sei. Io sono così: raramente ho goduto della sconfitta degli eterni vincenti, o per meglio dire, non sento la necessità dell’irrisione e del ballare sopra i tavoli. Per l’arrogante eterno vincente già la sola sconfitta è una condizione molto più dolorosa di quanto sarebbe per una persona normale. Se ha già la faccia nel fango, non c’è bisogno di metterci sopra il tacco. Eravamo solo agli exit poll e già iniziavano a girare gli sfottò su Matteo Renzi. A me non è mai piaciuto, ho cercato di farmelo piacere, perché non ti piace? mi dicevo, è un giovane uomo pieno di energia. Niente. Eppure gli sfottò non mi hanno divertita più di tanto. Pensavo: ma quanta gente ha creduto in questo pischelletto tutto nervi, guai a parlagliene male, quelli linciavano te, ed ora eccolì lì, a sfogarsi a tirare la verdura marcia della nostra epoca: il dileggio virtuale. Giuseppe è tornato nella mia mente. Il popolo è crudele, pronto ad avere la stessa cecità nel bene e nel male. Ed è anche un po’ scemo. Il giorno dopo il risultato eclatante dei 5 Stelle, si sono formate le code nei comuni e ai Caf per chiedere il reddito di cittadinanza. Pensare che un partito che vince oggi possa darti domani – ove oggi e domani non sono in senso metaforico – ciò che ti ha promesso, significa ignorare i fondamenti del funzionamento di uno Stato. Pur capendo la disperazione e anche nell’ipotesi fantascientifica di avere un giorno dei partiti intelligenti, con una società siffatta c’è poco da sfogliar verze. E questo qui (1564-1616) come al solito aveva già capito tutto.

Intervista

Intervista di Edoardo Vigna a Gabriele Lavia, «Prima del voto avremmo dovuto rileggere Re Lear»

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *