A volte se ne vanno

Il libro di cui sotto l’ho dovuto momentaneamente lasciare causa crisi di nervi. Lo riprenderò perché dopo tanta fatica voglio vedere dove andrà a parare. Sono andata sull’“usato sicuro”: Stephen King, Holly. Lo stile è sempre bello ma si capisce subito che non è uno dei suoi libri migliori. Non c’è lo spavento che “diverte”, quella cosa tipo che quando spegni la luce ti sembra di sentire un dito che gratta sulla ceramica del lavandino, o quelle frasi memorabili che ti scrivi da qualche parte. Il clou di King sono i fantasmi, gli alieni, gli oggetti che prendono vita, è insomma l’irrealtà che ti riporta a quando, da piccolo, scendevi dal trenino del tunnel dell’orrore con un misto di paura, eccitazione e felicità. Probabilmente hai bisogno di riprovare queste sensazioni finché non sei quasi con un piede nella fossa, lo stesso che per tutta la vita hai badato bene a non lasciare fuori dal letto.
Il raccapriccio invece è la realtà, e in Holly, al di là della trama, irrompe immediatamente con il Covid e Trump. Certo si capisce che sono due esperienze che devono aver profondamente segnato l’autore perché non ricordo altri suoi libri in cui l’attualità fosse così strettamente legata al racconto.

Provo di nuovo, a distanza di pochi mesi, un senso di perdita, di cose nuove che arrivano inaspettate a rompere quelle solite, che duravano da anni e che erano belle.
Nella vita reale tutto finisce prima o poi e forse è per questo che abbiamo bisogno di punti fermi al di fuori di essa: lo scrittore, l’attore, il regista, il musicista… un artista insomma che è il tuo rifugio, il tuo altrove.

Potrebbe sembrare strano non riuscire ad addormentarsi dopo aver visto un film di Aldo, Giovanni e Giacomo, eppure è successo. Mi ha tenuto sveglia un senso di abbandono, quasi di tradimento da parte loro per aver infranto la leggerezza, l’altrove di risate. Perché in Odio l’estate per la prima volta entra il lato peggiore della realtà. Edulcorato da una battuta, non mostrato fino in fondo ma presente e dunque tragicamente reale. Ho sempre amato queste tre persone, mi ispirano simpatia persino quando non dicono niente. Paiono racchiudere le cose migliori: il divertimento, l’amicizia, i racconti degli inizi incerti e hanno una comicità surreale che mi ha sempre fatto tanto ridere.

E così, se i nostri creatori di altrove ci lasciano proviamo un senso di perdita, perché l’altrove in ogni caso fa parte del qui. Possiamo solo sperare che non sia per sempre, o farcene una ragione: per quanto bravi a creare, sono comunque umani.

Il disegno in apertura è stato creato dal generatore di immagini del sito talkai.info
Prompt: Disegna Stephen King

 

Virginia Woolf scrive da schifo

Linguaggio per me insolito, sgarbato e sgarbiano, ma poche cose innervosiscono quanto uno scrittore che rovina il piacere della lettura, a maggior ragione se è entrato nelle antologie scolastiche. Vero è che ogni autore ha alti e bassi ma trovando questa mia prima lettura di Virginia Woolf estremamente bassa, tornerà nel limbo in cui è stata finora.

Un susseguirsi di elenchi lunghissimi di cose varie, sensazioni, così lunghi che persino lei si perde. Tentativi di ironia mal riusciti che non fanno ridere ma nemmeno sorridere. Di quando in quando si rivolge direttamente al lettore, probabilmente conscia che quello ormai è un Ötzi rinsecchito di noia.

Il protagonista, Orlando, da cui il titolo del libro, dovrebbe essere un turbinio di sentimenti, passioni, di ricerca spasmodica di conoscenza e fama letteraria ma in realtà sembra più una macchietta, spesso proprio uno scemo.

Un’unica cosa è rimarchevole di questo libro. Ci puoi trovare un anticipo del tema che oggi è dominante: il transgender, l’identità fluida eccetera.

***

Il disegno in apertura è stato creato dal generatore di immagini del sito talkai.info
Il prompt è: Disegna una donna furiosa. L’ho scelto perché mi sembrava l’immagine migliore tra le seguenti.

Prompt: Disegna una donna arrabbiata. Usa lo stile di Giacomo Balla.

Prompt: Disegna una donna molto arrabbiata in stile futurista.

Una band italiana tra le misteriose nebbie di Dublino

Jimmy Page ha una chitarra doppia. Sbruffone. Eric Clapton infila la sigaretta tra le corde della chitarra, disgraziato!, io la mia chitarra che imbraccio e abbraccio, che mi porto sempre in giro come una parte di me, non rischierei di farla finire in cenere. Jeff Beck è Jeff Beck. Anche Joe Cocker è Joe Cocker: braccia in avanti, mani verso il basso, dondolio scimmiesco. E la voce che ti entra dentro non in uno squarcio ma come un’entità invisibile, voce da possessione.
– Lo sto leggendo.
– Ah, ok. Come ti sembra?
– Bello, ma continui a mettere le virgole a c#@#
Ride.

Un attacco un po’ delirante questo post, che mischia mie visioni e riflessioni con conversazioni reali. C’è anche l’entità. È in fondo quello che accade tutti i giorni: i voli della nostra mente che entrano nel concreto, o viceversa. Musica mentre di Carlo Crescitelli è un po’ questo amalgama di strade vere battute con scarpe vere ma dove i passi che risuonano non sono i tuoi, ed è inutile che ti giri a guardare, tanto non vedrai nessuno; di note udibili che escono da strumenti musicali amati e strapazzati e conversazioni udibili solo telepaticamente. E l’entità è il Caos, quello che spariglia le carte a cui inutilmente cerchiamo di dare un ordine, che però ha il nome di una persona vera che col caos della sua mente ha segnato un pezzo della storia della musica rock.

Tra fumo che sa di erba e fumi di nebbia emerge Dublino, che possiamo vedere anche se non la conosciamo, guidati tra ponti sul fiume Liffey ed edifici fatiscenti venduti al prezzo di regge, tra il cibo che abbiamo conosciuto in qualche altra parte del Regno Unito ma che muove gli stessi sentimenti: o te ne ritrai o è talmente buonissimamente malsano da farci un’abbuffata come moto di ribellione.

In questa «Dublino segreta» arrivano quattro musicisti che si tengono insieme come i passati che hanno vissuto, cioè non si tengono insieme, stanno insieme e basta perché sono una band. È il futuro che li aspetta dietro l’angolo che li tiene insieme, e devono per forza sorreggersi l’un l’altro perché la missione è ardua: esibirsi al posto dei Genesis.

Quattro scappati di casa (tre uomini e una donna) diversi in tutto, che neanche si ricordano i loro nomi, che devono arrivare alla sera del loro destino. E noi con loro, tra monologhi, riflessioni («…noi, noi non eravamo né abbastanza grandi da essere hippies come loro, né abbastanza piccoli da essere loro figli.»), conversazioni mute, racconti che emergono dal passato, sbronze, fumate, suoni, in un alternarsi di umorismo («… si era messo in fila in piazza per leccare il dorso di un rospo allucinogeno. Ma quando finalmente arrivò il suo turno, i rospi erano finiti, e così se n’era andato in giro a leccarsi, con poca soddisfazione, il primo rospo comune che era riuscito a recuperare in giro. E naturalmente si era sentito di merda…») e tristezza, di scrittura alta e di concessioni al volgare. Con la magia che incombe, quella a cui riusciamo a dare un nome e quindi fa un po’ meno paura, come un bastone da anziano trasformato in uno scettro da stregone o una cartomante di strada, e quella che invece ci spaventa perché invisibile, incontrollabile.

Il “mentre” del titolo è ciò che accadeva mentre la pandemia imperversava e poi dopo, i tentativi di riprendere quanto era stato interrotto.
Mesi in cui siamo dapprima rimasti immobili, atterriti, e poi immobilizzati dallo stato di paura prolungata, la porta era aperta, il sole filtrava ma non osavamo ancora. E poi siamo usciti, ciechi come delle talpe, a esplorare a tentoni il nuovo mondo. Mentre tutti facevamo del nostro meglio per riequilibrarci, Carlo Crescitelli scriveva questo libro che riannoda i progetti spezzati con vecchie passioni.
È un testo molto teatrale in cui le virgole sopra citate sono solo frutto della mia pedanteria. E probabilmente non è solo un’opinione personale visto che alla fine del libro possiamo dilettarci con la lista dei luoghi e degli oufit e con le citazioni musicali che compongono una colonna sonora di tutto rispetto.

Carlo Crescitelli,
Musica mentre. Favola rock a Dublino
pp. 270, in vendita su Amazon

Seguire un blocco di marmo e scoprire un pezzo di Milano

Milano è la città di mode e moda, spesso dell’esibizionismo di dubbio gusto, della movida che si spegne solo ad alba fatta. Eppure non ha mai smesso di offrire a chi lo sa cogliere il suo volto fatto di arte e spiritualità. Una delle zone che forse più incarna il contrasto tra la sua immagine rutilante e questo suo volto composto di pietre e storia sono i Navigli. Percorrerli in lentezza, prestando attenzione anche ai dettagli più piccoli, come un muretto che reca ancora i segni di sfregamento delle “alzaie”, è un viaggio dentro i secoli. O magari anche dentro di noi, silenzioso come l’acqua di quella parte di Navigli che scorre ormai nel sottosuolo. Silenzioso finché i pensieri non arrivano in superficie e prendono la forma di un racconto di fantasia, dove però il contesto è quello reale.

Viaggio curioso di San Francesco sui navigli di Milano di Francesco Mezzotera è una guida turistica in curiosa forma di romanzo per chi vuole approfondire i luoghi e la storia del tragitto acqueo che univa gli estremi della città al centro di Milano. È il viaggio immaginario di un blocco di marmo, una materia grezza che però è già stata battezzata col nome di ciò che sarà: San Francesco, perché il masso diventerà la statua del santo di Assisi che svetta sulle guglie del Duomo.

Francesco Mezzotera, appassionato studioso di storia dell’arte, in particolar modo quella milanese, coinvolgente relatore di conferenze e incontri, creatore del blog Milanocuriosa, dice in copertina: «Navigheremo sui navigli […]. Visiteremo monumenti famosi in tutto il mondo, ma anche luoghi curiosi e sconosciuti ai più. Incontreremo persone e personaggi, impareremo tradizioni e storie di una città ricca di meraviglie […]».

E a proposito delle alzaie a cui ho accennato: «Non tutte le strade di Milano riportano il nome “via“. Se ci rechiamo sui Navigli ad esempio la sponda di sinistra (guardando la Darsena) prende il nome di Alzaia, mentre quella destra di Ripa. Ma da dove deriva il nome Alzaia? Anticamente le imbarcazioni che tornavano al proprio punto di partenza dovevano percorrere il Naviglio Grande lungo la sponda di sinistra. Tuttavia questo significava andare contro corrente, e per poterlo fare, c’era bisogno di legare i barconi a cavalli o somari con delle grosse corde chiamate appunto “alzaia”. Lo sfregamento di queste gomene contro i muretti di contenimento hanno lasciato segni indelebili che tutt’oggi si possono vedere a due passi dalla Darsena.»

Il volume è impreziosito da una serie di fotografie, molte delle quali dell’autore stesso.

Il libro è in vendita su Amazon, Feltrinelli, Mondadori, Hoepli, Ibs. A Milano potete trovarlo presso la Libreria Bocca in Galleria Vittorio Emanuele e la Libreria Verso, Ripa di Porta Ticinese 40.

Viaggio curioso di San Francesco sui navigli di Milano
di Francesco Mezzotera
Editore Il Rio (Mantova)
pp. 224, illustrato

Un giallista perseguitato dal fascismo

Noi che abbiamo avuto la fortuna di nascere in una democrazia non ci rendiamo mai veramente conto di quanto siamo debitori a chi non ha avuto la stessa fortuna.
Sappiamo da dove vengono i diritti umani fondamentali, tanto per citarne uno la libertà di espressione, ma non riusciamo a immaginare, o il ricordo risale ai tempi della scuola, troppo sopito per riportarlo costantemente alla memoria, che qualcuno abbia pagato con la vita anche per ciò che è la nostra parte di quotidianità dedicata allo svago.

Si può dire che oggi il genere giallo-noir- thriller abbia preso il sopravvento sia nella scrittura sia nelle produzioni cine-televisive. Molti giallisti, molte persone che amano il genere. Ora, immaginate che qualcuno decida che questo genere non va bene, perché non è abbastanza italiano, è più legato al mondo anglosassone, perché i crimini vanno nascosti: l’idea che deve passare è quella di una società pulita. E ora immaginate che tutti i nostri giallisti vengano perseguitati, incarcerati e infine uccisi per strada a botte. Direste che sono passata dal giallo alla fantascienza, o a un infimo noir. A un infimo noir certamente: all’infimo nero del fascismo. Alla fantascienza no, perché questa sorte è toccata ad Augusto De Angelis, tra i padri del giallo italiano, giornalista perseguitato per i suoi articoli antifascisti ma anche per il semplice fatto di essere uno scrittore di storie di crimine.

Scoperto per caso, sto leggendo ora uno dei suoi libri ambientati a Milano con protagonista il commissario De Vincenzi, La barchetta di cristallo. Una scrittura ricercata eppure semplice, brevi paragrafi che riescono a racchiudere descrizioni precise degli ambienti, psicologia dei personaggi, i loro pensieri espressi e quelli solo pensati, e una trama costruita seguendo quello che il cinema definisce montaggio alternato. La tensione, componente base perché uno sbiadito canarino diventi un giallone, schizzata a piene mani.
Già dalle prime pagine avevo deciso di farne una recensione, sennonché, mentre godevo di questa lettura, senza alcun timore di essere trascinata fuori di casa e incarcerata, ho pensato alla sofferenza dell’autore Augusto De Angelis, ai tanti che hanno subito la stessa sorte.

In un momento come questo in cui ci sono segnali affatto buoni, ricordare certe vicende è più utile di una recensione, perché noi nati nella democrazia siamo un po’ distratti, perché pensiamo che i nostri diritti siano lì da sempre e sempre ci saranno.