E se diventassimo “troppo” ecologisti?

Mentre l’umanità si spacca in due tra chi corre contro il tempo per salvare il pianeta e chi, ottusamente, continua a ignorare i cambiamenti climatici, Carlo Crescitelli immagina un terzo futuro che si sottrae a entrambe le visioni, dove la Terra ha ancora i suoi luoghi estremi, il solitario Artico e l’affollata metropolitana di Roma e, quasi come un nodo che tiene insieme le due distanze, la montagna irpina. Un pianeta che esiste ancora nelle sue parti stabili ma che, fuori da ogni previsione, sembra aver scatenato le sue creature alla vendetta. Organizzate in sciami e branchi, stanno per prendere il sopravvento sull’uomo. Il compito di riportare ordine in questo nuovo stato di caos e impedire nuove catastrofi (ci riusciranno?) è affidato a cinque supereroine, diversissime fra loro, che si muovono tra strategie militari, l’ombra dei poteri forti e i mutamenti aberranti di tutti gli esseri viventi, umani e non.
A.T. Allarme Terra è un’avventura ironica e fantasiosa dove però non viene meno la riflessione sull’epoca che stiamo vivendo, un libro che corre in un viaggio allucinato tra luoghi fisici e stati mentali. Per prendere respiro ci sono le belle tavole in bianco/nero dell’illustratore cagliaritano Lorenzo Uccheddu.

A.T. Allarme Terra
di Carlo Crescitelli,
AltroMondo editore (Caldogno-VI)
13 tavole b/n
In vendita in libreria e sui siti: www.altromondoeditore.com www.cinquantuno.it

 

Una descrizione della Milano del 1869

Otto giorni dopo io mi trovava al caffè Martini – quel convegno di artisti che non lavorano, di cantanti che non cantano, di letterati che non scrivono, e di eleganti che non hanno uno spicciolo – e si parlava, raccolti in buon numero attorno ad un tavolo […]

Abitava essa una di quelle casupole grigie e isolate che fiancheggiano il naviglio dalla parte occidentale della città – una vecchia casupola a due piani che il tetto sembrava comprimere e schiacciare l’uno sull’altro come una cappa pesante di piombo, tanto erano bassi ed angusti. Correvanle tutto all’intorno alcuni assiti neri e tarlati su cui si arrampicavano delle zucche nane e dei convolvoli malati di clorosi.
Un setificio vicino l’avvolgeva notte e giorno in un’atmosfera di fumo, l’umido del naviglio aveva prodotto qua e là alcune rifioriture nell’intonaco esterno delle pareti, e le aveva rivestite di muffa e di piccole pianticelle di acetosa; nubi di moscherini entravano per la bocca e pel naso al primo affacciarsi alla finestra; e il cicaleccio, e lo sbattere, e il canticchiare delle lavandaie che risciacquavano, e sciorinavano su quegli assiti e su quelle zucche produceva da mattina a sera un baccano continuato e assordante.
Non vi sono forse a Milano cento persone le quali abitino nel centro della città, e conoscano con esattezza quella parte de’ suoi dintorni. Milano è la miniatura esatta di una gran città; ha in piccole proporzioni tutto ciò che è proprio delle grandi capitali. Quel lembo estremo di case che costeggia il naviglio da Porta Nuova a Porta Ticinese è ciò che è la Marinella a Napoli, ciò che è il Temple a Parigi, ciò che è Seven-dials a Londra. (Iginio Ugo Tarchetti, I fatali, da Racconti fantastici)

Uscir scapigliati dal romanzo di Iginio Ugo Tarchetti

«La parola – questa pittura del pensiero – non sa ritrarre che le passioni comuni e convenzionali; rende i profili, ma non ha né le luci, né le ombre, non sa mostrare né
le profondità, né le salienze; le grandi gioie e i grandi dolori non li sa dire.»

Ebbene, aprirò così, dicendo che Iginio Ugo Tarchetti si è sottovalutato. Fosca è un romanzo che coglie l’essenza delle ombre, create da poche luci in verità, e forse per questo ancora più profonde. Sono le ombre che celano il tormento dei pensieri e l’emotività con cui il protagonista vive ogni cosa, dalla semplice osservazione di ciò che lo circonda fino al consumarsi di due passioni antitetiche ma entrambe vissute fino allo stremo. Fosca è un romanzo potente perché nato da una capacità di scrittura di altissimo livello e perché coinvolge il lettore ora attirandolo ora respingendolo con le stesse ondate di sensazioni che l’autore sperimenta in quel momento.
I sentimenti sono totalizzanti fino a indurre alla malattia, ci sono concetti come l’onore, il dovere, il sacrificio; lo stile è quello dell’epoca (1869): un insieme che potrebbe portare noi moderni a definirle esagerazioni e magari farci anche un po’ sorridere. Se non fosse che se ti fermi a riflettere vedi che certe cose non si sono ancora del tutto risolte, come la questione femminile, l’importanza dell’aspetto esteriore, e altre che, invece, per fortuna segnano il progresso, come quello della medicina. E comunque se ti è venuto da sorridere, la pianti anche subito quando ti ritrovi portato in giro in una stanza, tra lumi spenti e accesi, in preda a continui impulsi uguali e contrari, in un abbraccio di morte, di repulsione e attrazione, di una felicità di poche ore che si è disposti a pagare con la vita, e perdersi dentro a una scrittura così ci vuole un niente.
Da Fosca è stato tratto il film di Ettore Scola Passione d’amore, che purtroppo sembra sparito dalla programmazione televisiva.

I milanesi rileggeranno un’altra volta di come la città fosse piccola e di una campagna vicina vicina e i lombardi si inteneriranno nel vedere come la propria regione abbia ammaliato un piemontese, che per di più nelle prime pagine esterna una grande ostilità per i borghi:

«Le pianure della Lombardia sono serene come il suo cielo, liete e fiorenti come le sue donne; quel cielo è fatto apposta per quelle campagne, non sta bene che lí, con un altro suolo non armonizzerebbe. Non so perché mi piacciano adesso le pianure, a me cui non sono piaciute mai, a me nato e cresciuto tra le montagne. Ma chi non amerebbe i luoghi dove è stato felice e dove lo può essere ancora? La Lombardia è all’Italia ciò che sono le praterie all’America, – gli Elisi, i Campi felici

Si vede che il cielo lombardo ha qualcosa di speciale, gli si può dare torto?

“La ragazza dell’isola”: giallo, ma i colori delle Shetland si perdono

Shetland è una delle serie tv più belle della programmazione di Giallo Tv. Una lentezza che non è mai esasperante e che riflette lo stato d’animo in cui ci si immerge trovandosi in un luogo in cui è la natura a prevalere: un misto di assoluta adorazione per la bellezza e di umana inquietudine nel comprendere la propria impotenza. Ho voluto quindi leggere uno dei romanzi da cui è tratta la serie, il primo, La ragazza dell’isola di Ann Cleeves. Da sempre divergono le opinioni se siano meglio i libri o i film che ne derivano, in questo caso non ho avuti dubbi: il libro è infinitamente inferiore alla serie. Non c’è niente di rimarchevole nello stile di scrittura, se non che essendo, appunto, di una semplicità assoluta scorre proprio ed unicamente come libro “da compagnia”. I personaggi principali hanno poca profondità, i paesaggi scivolano via su una descrizione che non rende loro onore, ne esce quasi solo la crudezza del vento e la violenza della pioggia. Ci sono libri che hanno il potere di portare in luoghi in cui non si è mai stati, questo non riesce a riportare nemmeno chi alle Shetland ci è stato.
Diventa più interessante dalla seconda metà circa, ma niente di memorabile. Incomprensibili le continue descrizioni di pasti e bevande, se non addirittura ridicole per la loro inutilità.
I libri di Ann Cleeves da cui è tratta un’altra bella serie britannica, Vera, non sono tradotti in italiano, tutto sommato non ci perdiamo molto. Viene da ringraziare gli sceneggiatori di entrambe le serie perché hanno fatto veramente un gran lavoro di costruzione.

Sorprendente esempio di arte narrativa

Uno scrittore crea un personaggio che è a sua volta narratore di storie e riesce a tratteggiarlo in un modo che la capacità affabulatoria del personaggio sovrasta quella del suo creatore. Per qualche minuto si è trascinati tra boschi e mari dal finto Filippo prima di riprendersi e ricordarsi che dietro c’è il vero Hermann Hesse.

«Ma il nano non dormiva affatto e si faceva mago o re appena dava inizio alla sua arte. Spegneva il sole e conduceva la sua padrona, che s’era fatta muta, ora nei neri boschi, pieni di spavento, ora sul fondo del mare fresco e azzurro e ancora per strade favolose e sconosciute: infatti l’arte del narrare egli l’aveva appresa nella Terra del Mattino dove i narratori sono tenuti in gran conto e sono maghi e giocano con l’anima di chi ascolta come un bimbo gioca con la palla.»
Il nano (1903), da Leggende e fiabe