In poltrona con l’antiviaggiatore

La prima Persona interessante di cui ho parlato in questo blog è stato Carlo Crescitelli, l’antiviaggiatore. Da allora ho continuato a leggere i suoi post e vedere i suoi video, convincendomi sempre più che lo spazio che gli avevo dedicato era veramente minimo rispetto a quanto ha da raccontare. Così ho deciso di coinvolgerlo di nuovo, convinta che la sua narrativa di viaggio sia affascinante sotto tanti punti di vista. Ma è evidente che non sono l’unica a pensarla così, perché nel frattempo gli sono state chieste interviste e collaborazioni a diversi blog. Io penso che il suo segreto stia nel fatto che quando scrive di un viaggio, chi lo legge la prima cosa che vorrebbe fare è andare a prendere la valigia in solaio (o in cantina o da sotto il letto o dove altro si tiene una valigia) e partire. Comunque, quell’uomo qui lo vogliono tutti. E quindi non è stato facile scegliere tra la moltitudine di cose che ha fatto e non fargli ripetere quelle che già gli sono state chieste per trarre qualcosa di originale da postare. Dopo lunga meditazione, mi è sembrato di individuare una parte che è una costante dei suoi racconti di viaggio: il cibo. Una seconda che, assieme ai viaggi, è la sua grande passione: la musica. Per la terza, le Case dei famosi, sono stata ispirata dal suo post sulla casa di H.P. Lovecraft, a Providence. Gli ho chiesto se fosse interessato a parlare di almeno uno di questi argomenti ma lui, in un inaspettato impeto di entusiasmo (impeto, perché poi chi lo sa se si pentirà…), mi ha detto che voleva farli tutti e tre. Dopo qualche sconnessa trattativa, abbiamo deciso che sarà a quattro mani, e a puntate, quindi… stay tuned!

1 / Cibi strani, cibi spazzatura: come sopravvivere senza pizza e bucatini

scoia

Che roba è quella?
Veramente non lo so.
Non lo sai. Però la stai mangiando.
(dal film Ratatouille)

Gli italiani sono dei gran viaggiatori. L’unico problema che hanno è il cibo. Finché si resta in Italia va tutto bene, dall’Alpe a Sicilia sai che magari troverai un qualcosa che non ti piace, ma per tutto il resto sarà solo un piacere. E anche se vai in Grecia o in Spagna non patirai la fame e, sebbene qualche piatto sia discutibile, nemmeno in Francia ti ridurrai come il conte Ugolino. La cosa inizia a farsi pesa e nera quando sali al Nord. Potresti trovare due scozzesi che ti guardano con sufficienza mentre ti spiegano con inamovibile certezza che gli spaghetti si condiscono col curry. Non ti metti a discutere, perché magari sei già incappato in tortiglioni con uvetta sultanina, quindi se c’è una mente umana che è riuscita a concepire una tale accoppiata, gli spaghetti col curry sono il male minore. Non va tanto meglio nemmeno a New York, perché oltre ad essere tutto poco buono è anche tutto straordinariamente insano, e non sai se ce la potrai fare.

Ma l’italiano, addestrato fin da piccolo a sopravvivere alle disorganizzazioni di casa, è abilissimo nell’elaborare strategie. Per i meno avventurosi, ci sono i ristoranti italiani. Che quello che servono sia poi una pallida imitazione o, peggio, un’improbabile rielaborazione dei nostri piatti è cosa risaputa. Per chi vuole immergersi nella cultura altrui, ci sono i piatti tipici del luogo, che in quanto ad armonia di sapori assomigliano spesso a un “governo di responsabilità nazionale” (o di pacificazione forzata). E poi ci sono i cibi spazzatura, autentiche ancore di salvataggio in mezzo a lande desolate di fame: fritti, salse, paninazzi sgocciolanti, hot dog.
Questi insani prodotti gastronomici sono quelli che ti salvano dal mettere in atto certe idee balzane, come quella di pensare di usare il bollitore dell’acqua per il tè per farci cuocere gli spaghetti. Il tentativo non è stato posto in essere perché non siamo riuscite a risolvere un problema: gli spaghetti crudi possono anche entrarci, ma come poter toglierli una volta cotti se il bollitore non ha il coperchio apribile?

Ma passo la parola a Carlo, che di world food se ne intende veramente. Sarà una nuova Guida Michelin o un racconto che sta a metà tra Ratatouille e Fuga da New York?

Foto di Carlo Crescitelli

Foto di Carlo Crescitelli

Eh sì, cara Elena,
Noi italiani raffinati, esigenti, modaioli e ricercati, nel vestire, nell’apparire e… nel mangiare, soffriamo sempre a tavola all’estero. Io compreso, che, comparato alla maggior parte dei nostri connazionali, sono notoriamente invece un individuo rozzo ed inelegante. Certo, va detto che anche tu, per quello che mi par di capire, quanto a bislacche selezioni di bettole e affini, neanche scherzi… vabbè. Lasciando comunque per un attimo da parte le due eccezioni rappresentate dai nostri rispettivi cattivi gusti e tornando invece al buon gusto medio tricolore, si sa come spesso, in effetti, certe delusioni possano essere anche un po’ colpa nostra… pensiamo ad esempio alla struggente nostalgia del caffè espresso mai all’altezza! Ah, ma non vale per me, mica sono Proietti io, a me il caffè non me piace e meno male, perché così posso sorbirmi in tutta tranquillità e relax i beveroni lunghi che voi altri tanto schifate.
(Elena) Scusa se ti interrompo. In realtà raramente cerco il caffè espresso, perché tanto espresso non è mai. Ma vorrei spezzare una lancia in favore degli inglesi: il loro caffè sarà lungo ma bevibile, e mi spingo fino a dire che è buono. Per quello americano, invece, non ci sono parole adatte per descriverne l’orrore. Va bene solo a scaldarsi le mani quando fa freddo.

(Carlo) E la pizza? Ne vogliamo parlare? Io vado matto per quella all’americana, con sopra di tutto e di più per capirci! Quindi, in giro per il mondo non mi pesa mai cosa trovo e come la trovo! E sempre restando in tema di pizza… lo sapevi che gli americani sono convinti di averla inventata loro? Io non ho mai trovato il coraggio di smentirli… e tu?

(Elena) No, non lo sapevo. Considerando le pizze che ho visto là, direi che sembrano uscite da un codice informatico random. E il fatto che tu possa apprezzarle mi induce a guardarti con sospetto (la distanza in questo caso è buona cosa). Comunque eleggo cuochi dell’anno i baracchini di hot dog.

(Carlo) Intanto, anche se talvolta bisogna giocoforza ricorrere alla ciambella di salvataggio di qualche ristorante etnico di quelli che non deludono mai, in linea di massima però ogni popolo e nazione è in grado di presentare con successo allo straniero le proprie ricette tradizionali, le stesse che loro mangiano tutti i giorni, insomma. Ecco, se vai su quelle non dovresti avere troppe brutte sorprese. Ma – eccezione che conferma la regola – c’è tuttavia un paese al mondo che riesce comunque, unico e solo, a terrorizzare il viandante che si accosti ignaro alla sua tavola… e indovina qual è? Ma sì, che lo sai bene, tu che sui suoi improbabili sentieri gastronomici ti sei così spesso lucidamente e coraggiosamente avventurata… è la Gran Bretagna! Lì non avrai mai scampo: cibi crudi o scotti o bruciati e anche acrobaticamente tutte e tre le cose insieme, abbinamenti insensati, condimenti fantasiosamente imbarazzanti sono inevitabili. È per questo che poi lo sport nazionale è fare a botte, perché si alzano da tavola sempre incavolati! Ma secondo te da un bimbo di tre anni che cena con patate fritte unte e fredde inzuppate in salsina agliata – non scherzo, li ho visti! – potrà mai venir fuori un adulto assertivo e tollerante? Può mai essere amabile chi ingurgita gamberoni crudi completi di sacca di uova appesa? E chi accompagna il fish & chips con il caffellatte? Come reagirà alle disavventure della vita? Consolandosi con puddings e pastries – ma traduciamolo letteralmente: pasticci – di carne e pesce tritati insieme? O con un panino al cetriolo a secco?

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Foto di Carlo Crescitelli

Scherzi a parte, non me ne vogliano i nostri amici britannici, sono sicuro che il grande sense of humour di questo grande popolo farà loro sicuramente ben digerire anche le mie mediocri, abusate, italocentriche battutacce sui suoi tanti e parimenti formidabili paradossi culinari… anche perché qui il paradosso più evidente è che – e mi riferisco anche a te, cara Elena! – noi critichiamo critichiamo, ma poi quando viene l’ora di pranzo siamo sempre lì pronti ad abbuffarci senza ritegno, e per giunta – qui casca l’asino! – proprio di molti dei britannici oggetti dei nostri strali… eh, Elena? Dove – e soprattutto cosa e come – hai mangiato imperterrita in Scozia per una settimana intera? Lunch & dinner tutti i giorni dal chippy, ma brava! E io allora, che come avatar del mio canale YouTube ho scelto a mia volta proprio una foto nella quale mi ingozzo di fish & chips? Predichiamo bene e razzoliamo male, allora… anzi prima predichiamo e poi cadiamo in tentazione: e chi non ha peccato alzi la prima forchetta! 

(Elena) Mi sentirei di consigliare i ristoranti indiani, anche i messicani ma presi con cautela. Ma i fish & chips, come detto poco sopra, sono una questione di sopravvivenza. Come si riesca poi a venirne fuori indenni quando talvolta ti trovi costretto a mangiarli all’aperto, sotto vento e pioggia, è un mistero.

Foto di Carlo Crescitelli

Foto di Carlo Crescitelli

(Carlo) Ma basta ora, con i rimorsi delle croci e delizie di tutti questi autentici casi di malacucina, voglio virare bruscamente chiudendo con una mia personalissima graduatoria dei piatti più buoni da me mai gustati in viaggio:

3° posto: magico, piccantissimo balti
autentico capolavoro gustato l’anno scorso in un ristorante nepalese di Lerwick, isole Shetland (in un modo o
nell’altro, come vedi… God save the Queen once again!)

2° posto: impeccabili pennette al salmone
sorprendentemente servitemi in terrazza rotante del ristorante più chic di Vancouver, Canada, inizi anni ’90 (evvvài con il God bless America!)

1° posto e menzione d’onore:
focaccia pugliese di pasta di fecola di patate farcita con pomodorini pachino ed olive nere, scodellata bollente dai forni di Bari quando vivevo lì e la potevo mangiare tutte le volte che volevo, ma di sicuro la fanno ancora adesso…sse Parigg tnèss lu mère fusse ‘na piccla Bèri! (traduco dal pugliese per voi amici ed amiche padani: “Se per avventura Parigi potesse mai avere anche il mare, beh allora forse sarebbe ancora più bella, bella quasi quanto… una piccola Bari!”).

(Elena) Ah, be’, ma se giochi in casa diventa troppo facile. Mi fai venire in mente alcune cose che metto in cima alla lista delle prodezze culinarie italiche: le alici al limone e le cozze di Monterosso (Cinque Terre); il caffè della piazza di Bagolino (montagna, provincia di Brescia, dove ti guardano strano se il caffè lo prendi non corretto); il pesce fritto servito tra canti e balli sulla Nave del Sol, con l’organizzazione della famiglia Casadei, in partenza da Cervia. Visto che si mangia e si beve in mare aperto, sono pochi quelli che riescono a tenere fino al ritorno cantando Romagna mia. (A questo punto mi viene la domanda: ma noi chi salviamo e benediciamo per queste cose?!).

(Carlo) Ancora sani e salvi, nonostante tutto e pur dopo tanti stravizi! E già che saltando di palo in frasca da una divagazione all’altra abbiamo nominato entrambi pure la Francia… a proposito di Ratatouille: ma tu mi leggi nel pensiero! Come facevi a sapere che è uno dei miei miti? Voglio dire… sia il ratto che il piatto, e infatti, come puoi vedere qui sotto, ho avuto recentemente il piacere e l’onore di avere tanto l’uno che l’altro ospiti alla mia tavola! Guarda bene fino in fondo… e buon appetito!

http://www.youtube.com/watch?v=b0R-VcUYyS8

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Arte & Viaggio: un concorso per donne viaggiatrici

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“Noi non conosciamo le persone quando vengono da noi; dobbiamo andare noi da loro per sapere quel che sono”. Si può sintetizzare in questa frase di Goethe il senso del viaggio intrapreso per conoscere: non solo le persone ma i loro contesti, la loro cultura e arte. Lo scrittore tedesco, come Stendhal, Mary Shelley assieme a tanti altri autori di ogni epoca, fino al contemporaneo Tiziano Terzani hanno dato origine o contribuito a formare la “narrativa del viaggio”. L’Italia è certamente una delle nazioni che, grazie al suo patrimonio storico e artistico, ha maggiormente attratto le élite culturali di mezzo mondo (e come dimenticare che è stata proprio l’Italia a essere la causa della Sindrome di Stendhal?). Ma andiamo oltre il nostro Paese per parlare in generale dello stretto legame tra viaggi e arte e di chi, cogliendo questa connessione, l’ha concretizzata in un concorso.

Arianna Serra è una persona che può essere tranquillamente definita audace, e cioè una di quelle che ha avuto l’ardire di lasciare il posto fisso, e non in un’azienda qualunque ma addirittura in Fiat, per diventare consulente e, in contemporanea, inventarsi una nuova professione. Ha trasfuso tutta l’esperienza accumulata nel suo lavoro da assistente in un’avventura professionale composta da due parole, di cui una è planner. Il planner oggigiorno è uno che sa veramente cosa sta facendo e toglie dagli impicci noi, che invece ne sappiamo di meno, o magari abbiamo meno tempo, meno fantasia per “plannificarci” ciò che vogliamo fare. Ma non è una wedding planner, che, tra la scelta di un vestito e la decisione sul tipo di fiori da mettere a corredo della tavola nuziale, quieta anche le ansie che precedono il grande giorno. Arianna Serra è una travel planner. Un’organizzatrice di viaggi su misura, lunghi come una vacanza o brevi come un weekend. Dà consigli sulle mete e le cose da fare una volta raggiunte, pianifica gli itinerari e si occupa delle prenotazioni. Visita personalmente le destinazioni che poi propone e questo le consente di instaurare contatti diretti con alberghi e guide, bypassando altri intermediari e assicurandosi quindi prezzi migliori. Scrive inoltre sul blog Nonsoloturisti.it

In un’intervista a La Stampa del maggio 2012 è stata “rubricata” alla voce Trentenni che non si arrendono. Io aggiungerei anche che guardano, ascoltano, captano. Ogni cosa interessante può essere un punto di partenza. E il suo concorso nasce proprio dal fatto che Arianna ha prestato orecchio alle sue amiche che si muovono nel campo dell’arte e che, purtroppo, lamentano la scarsa attenzione verso gli artisti più giovani. Istanze che ha raccolto e unito alla sua passione per i viaggi, dando vita a Arte & Viaggio, un concorso aperto a varie forme artistiche: fotografia, video, scultura, pittura, collage e altri generi, riservato alle donne senza limiti d’età. Si chiuderà entro la fine del 2013, ma non è ancora stato volutamente fissato il termine ultimo per la consegna delle opere, così da poter dare più tempo possibile alle partecipanti per creare i lavori da presentare.

Non tutti vogliono viaggiare in prima

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Ho “conosciuto” l’antiviaggiatore su YouTube. Ero tornata da poco dalle Shetland e volendo tenere viva la magia di quelle terre cercavo dei video sull’Up Helly Aa, il Festival vichingo celebrato ogni anno a Lerwick, la città più grande delle Shetland. Mentre sto guardando uno di questi video, con la coda dell’occhio vedo il titolo Vado alle Shetland/Goin’ to Shetland e più sotto l’esilarante In partenza per le Shetland: ‘a Maronna m’accompagna!

355xPenso che devo assolutamente vedere chi è quell’unico italiano, oltre a me, abbastanza folle da scegliere una meta così lontana e selvaggia. Bè, no, l’unico no. Ricordo una coppia di emiliani nel museo di Lerwick, ma furono gli unici connazionali trovati in loco. Gli italiani li trovi ovunque, ma probabilmente le Shetland sono troppo ovunque. I video sono veramente belli. Non sono semplici riprese o montaggi di foto, sono documenti di viaggio arricchiti da descrizioni umoristiche, commenti divertenti, impressioni. Da citazione è la scelta degli abiti pesanti a luglio, con una temperatura che si aggira attorno ai 38 gradi.
L’antiviaggiatore si chiama Carlo Crescitelli, è membro dell’Associazione Culturale Italo Britannica di Avellino (Acib), dove vengono organizzate le proiezioni dei suoi video in serate con musica e dibattiti,

locandinaha scritto alcuni libri, tra cui L’antiviaggiatore e Come farai a fuggire da te stesso… se lui continua a correrti dietro?!? ed è un blogger. E naturalmente è un viaggiatore. Non un turista, perché le sue mete non sono e non saranno mai gli all inclusive, i villaggi turistici, quelli che potresti essere ovunque perché tanto stai dentro lì, non sai nemmeno cosa c’è fuori, i resort a X numero di stelle, le spiagge affollate, le piscine con acquagym in riva al mare. Le sue mete sono fatte di natura e di incontri, sono anche quelle più difficili perché, come lui stesso ha scritto, sono i luoghi «cui nessuna agenzia di viaggio vi indirizzerà mai». Clima spesso inclemente, destinazioni non attrezzate per il turismo di massa, dove è difficile spostarsi ed è impossibile portarsi dietro le proprie abitudini. Ma sono senz’altro questi posti che ti permettono di vedere che cosa sia veramente la natura quando “esplode” in tutta la sua libertà, di provare commozione al cospetto di un animale selvatico che nuota, vola o corre fuori da qualsiasi gabbia umana, di conoscere le persone che qui abitano, di entrare per un po’ nella loro vita e farli entrare nella tua. Il viaggio, questo tipo di viaggio, diventa così anche un viaggio dentro se stessi, una riflessione, un misurare le proprie forze e capacità.

snapshotCarlo Crescitelli, attraverso i suoi video e gli scritti, ama condividere le sue esperienze di viaggio per far conoscere i luoghi che ha visitato ma anche per narrare le sue avventure interiori. Una guida di viaggio un po’ speciale, non il solito catalogo stampato su carta patinata con il mesto elenco di alberghi ordinati a seconda dei comfort offerti (compresi spaghetti e lasagne in capo al mondo), corredato da foto di paesaggi perfettini e mielosi. Ma chi ama veramente la natura sa che non c’è proprio niente di dolcemente romantico nel vento del Nord che soffia implacabile e la pioggia non è quella di D’Annunzio che «piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri», è uno scroscio gelido che ti entra nel collo, nelle scarpe, ti picchia inviperito sulle mani e sulla faccia che quasi fai fatica a respirare. In momenti come questi è facile chiedersi dove avevamo la testa quando abbiamo snobbato una calda e morbida spiaggia per ritrovarci a combattere ricurvi e ciechi contro una bufera. La risposta viene dopo, quando riusciamo a riportare la pelle al riparo e pensiamo: comunque ce l’ho fatta. E ci sono altri mille motivi che danno la risposta perché, come scrive Carlo, «alla fine ne è valsa comunque la pena».