La noia del previsto, la bellezza dell’imprevisto

Premessa: io non ce l’ho con nessuno, tanto meno coi bancari, ma con le regole or ferree or men ferree sì. E sulla durezza del ferro che si trasforma all’uopo in pongo vale la pena spenderci qualche sorrisetto, ironico, of course.

Il primo assaggio ce l’ho nella mia banca di Milano. Chiedo: me le può cambiare? L’impiegata, spaventata: che cosa sono? Mi spavento a mia volta, ma averle tenute per quasi un anno nel cassetto e poi qualche minuto nel portafoglio deve avermi infuso l’imperturbabilità del popolo a cui appartengono. Sterline scozzesi, rispondo. La signorina le gira e le rigira con cautela, come si farebbe con una penna di sarchiapone, poi si dà da fare a smanettare sul pc. La risposta che le rende lo schermo deve essere rassicurante, torna la misurata cortesia e la sua risposta non ammette repliche: non trattiamo questa valuta, deve andare in un ufficio di cambio o al prossimo viaggio cambiarle in aeroporto. I pensieri sorgono spontanei: a che serve una banca se non a maneggiare soldi? Non sono venuta a chiederti di cambiare della valuta della Papua Nuova Guinea bensì di un Paese dell’Unione europea.  Perché devo andare in giro a cercare un ufficio di cambio e rimetterci anche una commissione più alta? Secondo te io sto sempre negli aeroporti a viaggiare qui e là (magari…)?  Mi verrebbe voglia di arrabbiarmi, ma un highlander sa sempre quando è il caso di riporre la cornamusa nel sacco e girare sui tacchi, e il manifestarsi monolitico della burocrazia è uno di questi casi.

Un rimborso sotto forma di assegno per l’importo da capogiro di euro 102,00#, mi dà un secondo sfoggio di geometrica ottusità. Non essendo intestato a me, preparo delega, controdelega, firme, documenti identificativi, esami del Dna, prevedendo comunque l’inutilità della cosa: l’impiegato, zelante anche nell’afa di agosto, mi avrebbe respinto come un corpo estraneo. E così è stato. Un’altra banca, un’altra città, medesima faccia da monolite, medesimo highlander, questa volta con la cornamusa un po’ meno nel sacco. Perché altre domande sorgono spontanee: com’è che spesso i bancari riescono a farsi raggirare da ignoti truffatori che accompagnano malcapitati anziani ma non riescono a riconoscere un fenomeno genuino? Com’è che la finanza decide su tutto ma un misero essere umano non riesce neanche ad avere quel poco che gli spetta? Mi ero anche messa il tubino blu (ma chi è che gli ha dato questo nome da imbecille? Perché la moda usa questi termini di una melensaggine insopportabile?) per avere un aspetto più dignitoso, ed eccomi ora attraversare rabbuiata una Cremona semideserta, nel brusco calo di temperatura che io ho sempre vissuto di malanimo, con addosso un vestito che intralcia la mia naturale camminata. Metto insieme tutte le parole giuste: andrò alla filiale della banca presso cui ho il conto cointestato e vediamo se ne vengo a capo. «La mia banca è differente», ridacchio allo slogan per stemperare la situazione.
Da anni giro Cremona a naso, senza conoscere neanche il nome di una via. Dai pressi della stazione basta prendere una qualunque via in discesa e ti ritrovi in centro. L’inquietante idea di dover affrontare un terzo impiegato di banca viene affiancata dal quesito: come mai nel cuore dell’estrema Pianura padana esiste una città che, seppur leggermente, va in discesa?  I dilemmi sui dislivelli padani vengono interrotti dalla vista di una meraviglia del passato che permane nell’oggi: un negozio di caramelle sciolte, vendute a peso, di tutti i colori, presentate nella cornice di un negozio antico. Le accompagnano torroni di tutti i tipi e dimensioni, compresi naturalmente quelli a forma di violino (non potrebbe essere altrimenti, Cremona è la città del torrone e di Stradivari), mostarde e croccanti. L’economia cremonese si regge su vittime predestinate. Queste, mandorle, nocciole, zucchero, sono quelle vegetali. Le altre, ahimè, sono essere senzienti: i maiali. Anche questi li troverete in tutte le forme e dimensioni, pur senza poterli riconoscere nel loro aspetto originario: salami, coppe, culatelli, prosciutti, salamelle eccetera. Stanno appesi in vetrina spesso assieme a sagome di violini, ma seguite le indicazioni dei liutai e vedrete violini veri. Belli, bellissimi, come le botteghe dei maestri che li creano.

Entro sospirando nella banca, un signore grosso come una cassaforte (evidente vittima delle vittime suini) mi informa amabilmente che lui è lì per parlare con un funzionario, quindi di passare pure avanti (auguri, vorrei dirgli, io non riesco neanche a intendermi con un cassiere, figuriamoci con il secondo piano del dolmen). La cassiera, graziosa nei modi e nell’aspetto, mi dice che farà tutto lei e che “quelli là”, quelli dell’altra banca, potevano anche cambiarmelo l’assegno, che a volte fanno troppe storie. Senza essere blasfemi, inizio a capire perché Gesù abbia preso a mazzate i mercanti nel tempio.

Conclusa l’odissea bancaria, guardo l’orologio: ormai è troppo tardi per cercare di prendere il prossimo pullman. Nella tanto sbandierata Lombardia-Locomotiva d’Italia i pullman forniscono il medesimo servizio delle diligenze nel Far West, con la differenza che i viaggiatori non sono assaliti dagli indiani bensì dalla Regione. Tariffe da capogiro per servizi di infima qualità.

torrazzo_cremona
Punto quindi verso il centrissimo della città, dove c’è il duomo con il famoso torrazzo. La piazza è proprio bella: il palazzo del municipio,

Cremona 3-9-11 4 53

portici, negozi e bar compatibili con la sua estetica, e il vecchio chiosco dell’edicola che mi è sempre piaciuto tanto.
Sto per avviarmi verso l’entrata della cattedrale quando noto che il battistero è aperto. Non ricordo di averne mai visto l’interno. Idea felice perché è qui che arriva l’imprevisto. Un’esitazione di pochi minuti prima di entrare e mi ritrovo in una conversazione con il bigliettaio e due signori. Uno appoggiato a una colonna, l’altro a cavalcioni della sua bicicletta. Sono amanti dell’arte e iniziano a sciorinare una serie di luoghi nei dintorni che ospitano chiese e chiesette con affreschi di valore.

Tra questi c’è Caruberto, frazione di San Martino al Lago. Piuttosto che fare un racconto del racconto, preferisco citare quanto trovato a questo link:

«Il capitolo riservato a Flavio Caroli si intitola “la terra di Leonardo e Sofonisba”: segnala come una cosa sconosciuta e assolutamente da scoprire la chiesetta di Caruberto, vicino a San Martino del Lago, “perchè ha dei deliziosi affreschi tardogotici”.. “Presi casa qui perchè sapevo che queste terre erano di Ruberto Ponzone, nonno della pittrice Sofonisba Anguissola, vissuta a cavallo tra il ’500 e il ’600″. Dice Caroli, che poi aggiunge: “La chiesetta dista poco più di un chilometro dal castello in cui viveva Cecilia Galleranim la Dama con l’Ermellino. Qui il dipinto di Leonardo rimase a lungo custodito”. E sulla strada, secondo Caroli, bisogna salvare le opere del Mantegna di Mantova che, dopo il terremoto, non sono affatto in buono stato.»
Interessante anche ciò che riporta Il Vascello.

Uno dei due signori estrae poi dal portafogli un’immaginetta, mi dice che è la Madonna del fazzoletto. Deve amarla molto, penso, se se la porta così addosso. Mi spiace non ricordare in quale paese tra quelli menzionati (Solarolo Rainerio, Scandolara Ripa d’Oglio, Casalmaggiore e altri) si trova questo dipinto, spero che qualcuno arrivi fin qui a colmare la lacuna.

Proseguono raccontando di cerimonie di inaugurazione per il restauro, di messe cantate, di feste del santo, e dei volontari, che sono le uniche persone grazie alle quali è possibile visitare queste chiese. Ma i volontari fanno quel che possono. La morale è che puoi partire per vedere questi affreschi ma non è scontato che tu riesca nell’intento. Dipende tutto dalla loro presenza. L’Italia è sempre questa: straripante di arte dalla città più grande fino al paesetto più isolato e nessun piano per toglierla da questa mortificazione.
I paesi del Cremonese sono spesso composti da un nucleo centrale di poche case vecchie e ville recenti all’esterno. Quando va bene c’è un bar, con un paio di avventori sonnacchiosi quanto il titolare. D’estate si ciondola per l’aria pesante di caldo, d’inverno per la nebbia che scende a ranghi compatti. Non è una zona per ossa e capelli: nelle due estreme stagioni gocciolano d’umidità. E poi ci sono loro, i mastodontici allevamenti di mucche da Grana padano, che sono quelli che reggono il tutto. Ma cosa sarebbe un bar, un paesino, la sua economia se questi gioielli, anche i più piccoli, venissero portati alla conoscenza di tutti?

battistero_cremona

Lascio la combriccola di questi interessantissimi signori ed entro nel Battistero di San Giovanni. Estratto dal volantino: «Iniziato nel marzo del 1167 (…) È una costruzione di stile romanico a pianta ottagonale coronata da una elegante galleria. (…) La tecnica della costruzione della volta ha anticipato di circa due secoli quella della cupola di Santa Maria del fiore a Firenze, opera del Brunelleschi.»

Non posso andarmene da Cremona senza rivedere il duomo.

duomo_cremona

Nella penombra della cattedrale mi viene in mente che l’anno scorso non ho più trovato le spoglie di sant’Omobono, il patrono della città. Inizio a girare intorno per cercare di capire dove l’hanno spostato. Un bambino sta facendo esattamente la stessa domanda alla nonna: dov’è sant’Omobono? Adesso andiamo a cercarlo, risponde la nonna. Mah… a volte la ricerca non è solo spirituale. Ne approfitto e dico alla signora: anch’io lo sto cercando, ma dove l’hanno messo? Mi rendo conto che quel modo di esprimersi e quell’andare a sondare gli angoli più scuri della chiesa non è esattamente il comportamento di chi sta cercando la teca con le reliquie del Santo, ma la signora mi batte in quanto a rudezza. Chiediamo a Marisa! dichiara nel mezzo della navata. La seguo credendo che si avvicinerà per sussurrare nell’orecchio di Marisa. E perché mai? Di solito le chiese hanno un’acustica formidabile, quindi perché preoccuparsi più di tanto? Marisaaa… la signora seduta sulla panca viene strappata al suo raccoglimento. Dov’è sant’Omobono? Ecco uno splendido  esempio di devozione popolare, penso. Marisa scatta in piedi e, per nulla infastidita per il rientro forzato dai suoi pensieri spirituali, sostiene col medesimo tono di voce che bisogna chiedere a Mario. Mario deve essere il sacrestano, è impegnato a fare qualcosa sull’altare. Mariooo… dove hanno messo sant’Omobono? (oh mamma, sento che Omobono se ne risentirà). È nella cripta, ma non si può entrare perché l’impianto elettrico è rotto.  La nonna, il bambino, Marisa, Mario e io ci salutiamo e andiamo ognuno per la nostra strada, consapevoli che la teca del patrono sta pagando gli effetti di un mancato intervento di manutenzione.

Torno alla luce del sole, che adesso è un po’ più caldo. Non mi è andata male. La prevedibile inflessibilità a senso unico del sistema bancario mi ha regalato qualche ora di imprevedibili incontri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *