La terra di mezzo di piazza Buonarroti

  1. Piazza Buonarroti a Milano è presidiata dalla statua di Giuseppe Verdi. Presidiata perché sta nel centro della rotonda e sembra sostituire i vigili che non ci sono mai, nemmeno quando il traffico dà di matto, nemmeno quando i semafori sono rotti per giorni. Sotto la piazza corre la metro. Tra l’aria sopra e gli inferi sotto c’è una specie di terra di mezzo, e infatti si chiama mezzanino. Però sopra sei uno dei tanti che si agita torno torno la piazza e sotto uno dei tanti che resta lì ad aspettare la metro, poi sali e chi si è visto si è visto. Nel mezzanino di Buonarroti invece hai una personalità perché qualcuno ti chiama per nome, non sei più uno nessuno centomila, sei tu. E quindi non è mezzanino ma terra di mezzo. Questa specie di miracolo urbano è dovuto a Valentina e Claudio, che vivono un moto perpetuo in un bar che ha le dimensioni di una striscia e da cui, per una sorta di altro miracolo, sono persino riusciti a ricavare uno spazio a T con tavolini. Non so se Valentina e Claudio sono nomi che si sono dati di propria iniziativa o se li ha decisi qualcun altro, perché loro sono cinesi, nati in Cina, ma so che loro si ricordano i nomi di tutti quelli che frequentano il loro bar. Quindi se vai lì abbastanza spesso, non ti diranno “ciao” ma “ciao Elena”, e di conseguenza tutti chiamano loro per nome. Non li ho mai visti essere scontrosi con qualcuno, non li ho mai visti senza sorriso, nemmeno quando gli vedi una comprensibile stanchezza negli occhi. Insomma, il sole pare arrivare anche in quella striscia interrata illuminata solo dalla luce al neon, anche quando la cocuzza del Maestro sopra è bagnata dalla pioggia o sfumata dalla nebbia. Quando riuscivo a mangiarmi il panino in loco e Claudio riusciva a prendersi tre-minuti-tre di pausa, ci scambiavamo impressioni di mondi diversi, ma così diversi da essere talvolta incomprensibili gli uni agli altri, perché certi punti di vista è come se non fossero solo idee ma fossero proprio scritti nel Dna. Da un po’ di tempo la coppia è affiancata da una ragazza, mi ha detto solo una volta come si chiama ma non lo ricordo, perché non è un nome italiano e perché mentre scrivo ho appena varcato di due anni il quasi-mezzo di cammin di nostra vita (essì, anche i parametri danteschi vanno aggiornati sulle odierne aspettativa di vita). Da dove viene l’ho scoperto solo ieri, io la collocavo in quell’immensa vastità di “una qualche zona dell’India”. E l’ho scoperto per vie traverse. Perché ieri al bar c’era una ragazza, il suo nome è Raffaella Zsua, e ha chiesto a questa giovane da dove venisse. Sri Lanka. Non sono riuscita a trattenermi dalla mia solita litania: che bello! È uno dei miei sogni. Raffaella dice: ah, che bello sì, il Sudest asiatico. Poi aggiunge di avere un blog – https://raffaellazsua.com/ – in cui narra storie di immigrazione e se la ragazza può raccontarle la sua. E anche la parola blog richiama la mia attenzione, mi faccio dare l’indirizzo, prendo al volo il mio panino e me ne vado, per dovere, non per volontà.
    L’immigrazione è un fatto complesso, che non puoi trattare come è stato fatto finora vedendo tutto il bianco o tutto il nero, ha bisogno di grandi sfumature che dovrebbero venire da chi ha le competenze per farlo. E infatti non sono qui per aggiungere pennellate ai bianchi o ai neri ma solo per condividere quello che mi è venuto in mente risalendo dalla terra di mezzo dopo che Raffaella ha detto: se va avanti così è meglio che ce ne andiamo tutti. C’è qualcosa di tremendamente sbagliato in quelle quattro persone straniere che incontro ogni giorno in meno di 400 metri a chiedere la carità ma c’è qualcosa di altrettanto tremendamente sbagliato nel lasciare una nave in mezzo al mare. E c’è qualcosa di sbagliato anche in me, che ho dato per scontato che Claudio e Valentina fossero italiani, perché si vestono, parlano, mangiano come me, Valentina persino mi ha detto che fatica ormai a scrivere in cinese, ma che soprattutto vivono lo Stato italiano come lo vivo io, prendendosi tutto il brutto e il bello. E ancor di più i loro bambini, nati in Italia. Ho dato per scontato quello che scontato non è, perché loro e i loro figli devono ogni tot dimostrare di essere italiani (diciamo così per bypassare i termini tecnici) a suon di documenti e, guarda un po’, a suon dei soldi che questi documenti costano. Per cui, Valentina e Claudio mi conoscono con il mio nome (più un altro centinaio di persone) ma al mio Stato che è anche il loro a dir poco da una quindicina di anni devono periodicamente rendere conto del loro. Uno Stato fatto da persone che sistematicamente interpretano la legge a proprio piacimento. Già, perché tra un sogno di viaggio e l’altro anche questo mi viene in mente. Un popolo per lo più di tendenza anarchica che si scopre esperto di diritto costituzionale solo in certi casi, tipo quelli di Mimmo Lucano o di Leoluca Orlando. Un sindaco può “interpretare” la legge sugli abusi edilizi, la corruzione, lo smaltimento di rifiuti ma se ci prova dal lato umano, allora tutti strenui difensori della norma.
    Giuseppe Verdi è particolarmente amato dai milanesi, anche da quelli che di classica se ne intendono poco, perché, credo, fin da piccoli ci raccontano due storie: come tutti si fossero alzati al Va’ pensiero in sfregio al dominio austriaco e come avessero ricoperto le strade di paglia perché gli zoccoli dei cavalli non disturbassero il Maestro nei suoi ultimi giorni di vita. Forgiano nel bambino l’orgoglio di avere mandato a fare… gli austriaci.
    In piazza Buonarroti, sopra c’è la statua del compositore più milanese della storia che milanese non era, sotto c’è un incontro di mondi.

 

2 thoughts on “La terra di mezzo di piazza Buonarroti

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