L’enigma di Dormelletto. O delle mancate occasioni turistiche

Ma perché Dormelletto? Te l’ho detto, non volevo andare ad Arona perché già ci sono stata. Volevo andare a Lesa ma poi ho visto che era troppo lontana. Sì, ma perché Dormelletto? Eh, perché stava su quella linea lì. È che a noi disorganizzati non ci capisce nessuno, in questo mondo dove anche il cestino da picnic è un’esibizione di ordine e sintesi, mica come quando ero piccola con le borse della Standa, che poi ti mancava sempre l’apribottiglie.
E dissociati. Perché arriva sempre, col primo sole magari, ma arriva. Alzo il cartello in faccia alla città: mi dissocio, dalle tue deprimenti architetture di nuova concezione, con gli spazi a misura d’uomo e dai tuoi sempiterni happy hour in dehors a misura di ratto. E a volte tocca dissociarsi anche dai milanesi, quelli che ti dicono: andiamo a vedere Viola Valentino? Ma chi, quella afasica, la ex di Riccardo Fogli? Sì, proprio lei. E andiamo. Però poi arrivi lì e per vederla dovresti anche pagare 12 euro, che sì, ci può stare ma dovresti assistere al concerto seduto per terra e a una certa età non è cosa, perché per guadagnarti una delle dieci sedie avresti dovuto arrivare prima, ma chi si va a immaginare un sold out per Viola Valentino? E ci riprovano anche, certi milanesi, che poi sono gli stessi che non capiscono perché Dormelletto. Andiamo al BookPride? E andiamo. Però ti vedi alle 20.45 e il BookPride chiude alle 21 e tu arrivi alle 21.30 e provi l’umiliazione di farti cacciare da un intellettuale delle ultime avanguardie. E così ripieghi sulla Milano by night e ti ritrovi a fendere folla alla ricerca di una birra alla spina, anche se tu non bevi, ma a certi milanesi o alla spina o niente, tutti irlandesi ormai. E quindi mi involo, fosse anche dalla mattina alla sera, verso il blu. Le rondini sanno il fatto loro, il disorganizzato dissociato no, guarda tre foto su Google Immagini, prende il treno e si ritrova a cercare il lago dove c’è ma non c’è.

Se un treno ogni ora collega Milano a Dormelletto, vuol dire che ne vale la pena. Un pensiero di acuta logica che mi fa ritrovare in una stazione vecchia, senza biglietteria, senza bar e bagno. Il corridoio sotterraneo ai binari è ricoperto di grigia fanghiglia e i muri imbrattati di scritte senza arte né parte. Niente street art. Ma fuori è anche peggio. Di solito le stazioni si affacciano su piazze, quella di questo paesetto no, dà direttamente su una statale ad alta percorrenza, senza marciapiedi. Giusto lo sterrato laterale, di solito destinazione ultima di cose morte. E siamo in pieno giorno, chissà di sera che divertimento. Un albergo a 3 stelle è una speranza di vita, anche se la domanda non smette di girarmi in testa: quanti pendolari ha sacrificato Dormelletto sulla strada per la stazione? Tra una fabbrica e un condominio si intravede un pezzetto di lago. Io e lui sembriamo chiederci la stessa cosa: ma che ci faccio qui? Incomincio a canticchiare: Statale 17 sembra esplodere nel sole… Statale 17 lungo nastro di catrame… (oh yeah, il blues inizia a prendermi)… senza un cane che mi cerchi, son sudato, sono sporco, chissà mai se arriverò da te. Statale diciassetteeee (ormai non canticchio più, tanto il rombo delle auto copre tutto)… attraverso e taglio verso il basso dove una freccia segnala Camping. Il lago c’è, carcerato dietro chiusure impenetrabili. Un essere umano si palesa e io ne approfitto. No, qui al lago non si arriva, o va ad Arona o forse… ummhh… o può provare a tornare indietro, forse più indietro si scende. Forse, provare… ehi, amico, ho appena rischiato di fare la fine della nutria e tu mi riempi di incrollabili incertezze? Ritorno sulla strada e mi sono trasformata nell’emigrato Verdone in Bianco Rosso e Verdone: sapete che ve dico? Torno alla desolata stazione e attendo il prossimo treno per Arona. Ho mancato di un soffio quello di ritorno, altrimenti sarei scesa a Sesto Calende, dal treno avevo visto che c’era una bella passeggiata lungo il Ticino. Non conosco Sesto Calende e non so come dalla stazione si arrivi alla bella passeggiata ma neanche la Statale 17 ha potuto rinsavire la gitante in do cojo cojo che c’è in me. Silenzio, intonaci scrostati e catenacci a tutte le porte, sembra di stare in un film western, ma di Clint Eastwood neanche l’ombra. Mi chiedo perché un paese col lago non ha puntato sul lago. Perché l’Italia non punta sull’Italia. Punto. La stazione inizia a popolarsi. Arrivano ad uno a uno o in gruppetti fino a raggiungere la ragguardevole cifra di sette persone. Qualcuno sta dormendo da sempre sulla panchina, non fa testo. Il sommesso dondolio del treno viene interrotto dagli strepiti e botti di un po’ di ragazzotti, solo un assaggio della peggio gioventù che troverò ad Arona. Animati da ira fine a se stessa, cappucci neri calati in testa ormai fuori moda, e non ridono. Se c’è una cosa inquietante è un adolescente che non ride.

1Arona è popolata dal caotico struscio del sabato e da Gli eroi su Kawasaki coi maglioni colorati van scialando sulle strade bionde e fretta. È che qui non posso cantare. Non hanno maglioni, solo supertecniche tute spaziali, con buona pace di Kerouac. Quello con la telecamera montata sul casco mi lascia perplessa. A sinistra la folla, a destra, in fondo, si intravede un prato che si affaccia al lago, alla buon’ora. Risalgo la corrente come un salmone, costeggio un luna park, mi chiedo se prima o poi finirà la rete che chiude il lago e finalmente un parco: ci sono gli alberi fioriti, l’acqua, i cigni e la possibilità di prendersi il primo sole in santa pace.

100_39635cignoMi accascio su un masso a bordo lago, vinta da statali, cancelli e attesa nel nulla. Il lago Maggiore non è bello come il Garda o il Como ma va bene così.

100_3965100_39714Al ritorno vengo attratta dal luna park. A me questi cosi mi sono sempre piaciuti. Il vecchio ottovolante tiene botta tra le nuove giostre che sembrano un rimedio per quando hai qualcosa sullo stomaco. Pompa tecno, ma a sinistra s’ode uno squillo anni ’80. Flash in the night. Ecco che cosa contraddistingue i luna park: i dischi se li passano di generazione in generazione. Sono tentata dalla mia giostra preferita: il treno della paura, o il castello degli orrori, insomma, quello lì che entri con la macchinina e vedi scheletri e mostri che spuntano qua e là tra finte ragnatele che ti sfiorano la faccia. Ma qualcuno con la maschera da Halloween sta su al secondo piano, un’aggiunta umana che non serve a niente. Come la signora della nave dei pirati che incita ad alzare le braccia. Negli ultimi anni c’è sempre qualcuno che vuole farti alzare le braccia, o farti girare a destra o a sinistra, come se tu avessi bisogno di uno che ti mostri come divertirti di più, anche in un posto che è già fatto per quello. La sindrome dell’animatore turistico. Il mondo è diventato una gigantesca macarena.
Mi aggiro tra effluvi di zucchero filato, pupazzoni da vincere, sale giochi e sirene. La musica va via via invecchiando, all’autoscontro non potevano mancare i Bee Gees, fino all’ultima bancarella che addirittura mi strabilia: Ivan Graziani canta di Marta, del suo sorriso e dei suoi capelli fermi come il lago. Madonna, ma quanto tempo è che non la sentivo? E comunque ci sta: il lago c’è e anche la Svizzera è lì da qualche parte.

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Guardo verso la montagna innevata laggiù in fondo, forse è quella che segna il confine. Gli è che quelli stanno troppo organizzati.

5 thoughts on “L’enigma di Dormelletto. O delle mancate occasioni turistiche

  1. >Però poi arrivi lì e per vederla dovresti anche pagare 12 euro

    Ehhh ma se hai studiato con cura il suo repertorio, dovevi saperlo che era “in vendita” (né per questo dovevi ritenerla “irra-gggiun-giii-biii-leeeeee!”) 😀
    Ma afona a chi, poi? o per un refuso è saltata la “c” iniziale??

  2. Polverosa, malinconica, commovente poesia lacustre… questo tuo bellissimo post farà presto un giro sulla pagina Facebook dell’antivaggiatore. Che di Ivan Graziani possiede ancora un paio di ellepì, e se li ascolta assai volentieri ogni tanto.

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