Procida, l’isola dei destini incrociati

Nel mio itinerario avevo incluso Ischia ma, poi, mi accorgo che tra Napoli e Ischia c’è Procida. A volte nel viaggiatore si attiva una specie di calamita e decide che la sua vita non sarà più la stessa se non riuscirà a incontrare il metallo che l’ha attivata. Un focus group della famiglia Crescitelli, compreso il giovane Lorenzo che pragmaticamente chiude la discussione con: «Ma quando ci andiamo?», stabilisce che Procida è meno turistica di Ischia e quindi probabilmente più caratteristica. Giungo alla stessa conclusione con il metodo empirico di ricerca immagini su Google. Ischia capitola definitivamente alla sua sorella minore. Ma l’isola diventa anche crocevia di occasioni: per me e Sabato di vederci, per sua figlia Iole di passare il giorno libero da scuola in modo diverso, per Carlo come esplorazione per un eventuale weekend fuori porta. È così che una decisione random presa a Milano incrocia due campani che non si conoscevano in un posto che non conoscevano.

L’organizzazione del viaggio inizia in stile Sabato Cuomo: contorni incerti e variabili. Inizialmente ci propone un traghetto ad un’ora per me e Carlo antelucana. Rigettata fermamente l’alba tragica, ci ritroveremo a bighellonare per Procida in attesa di Sabato, che arriverà con due traghetti dopo quello proposto. La prima impressione appena approdati è quella di case sgarrupate (abbisognanti di una mano di intonaco e di una ripitturata, ndr. Questo termine, per la sua fulminea sintesi, è già entrato nel mio vocabolario extrapadano); il traffico, viste le strade strette, appare caotico e poco rispettoso, anche se i veicoli che circolano non sono ovviamente molti. Ma è brutto sentire assordanti motorini e odore di fumi di scarico in un posto di mare.

Finalmente arrivano Iole e Sabato e l’incontro è epico: manifesteremo il nostro entusiasmo scattandoci una serie di foto con tutte le varianti umane ma con il medesimo sfondo, finché non avanzo l’ipotesi di schiodarci da quel muretto per trovare nuovi set. E qui si presenta il problema: nessuno di noi conosce Procida e nessuno di noi si è preso il disturbo di procurarsi una mappa ma, soprattutto, in tutti noi alberga un allegro desiderio di prendercela comoda. È Sabato a prendere in mano la situazione mettendosi a contrattare con un tassista e inscenando un siparietto che rimpiango moltissimo di aver perso. Il risultato della trattativa è che ci ritroviamo su un taxi, un mezzo di trasporto di incerta data di immatricolazione guidato da un furibondo ometto che solo Sabato riesce a tenere a bada, con uno stile di guida da Camel Trophy. Le manovre diplomatiche del dottor Cuomo mi provocano un eccesso di ilarità tale che mi si riempiono gli occhi di lacrime, così che intravedo appena muri troppo vicini e pedoni terrorizzati. Ma iracondia e imprudenza vengono ripagate da un angolo spettacolare di isola, Marina Corricella, fatto solo di mare, barche e reti di pescatori. Ed è sempre Sabato che decide quale ristorante scegliere: l’unico che non ha cercato di buttarci dentro. Passeremo così il resto della giornata tra cibo, chiacchiere, sole, gatti, gabbiani (insolitamente grossi come quelli scozzesi, notiamo io e Carlo). Non devo passarci molto tempo per capire che cosa mi affascina tanto di Procida (che tra l’altro è stata il set de Il postino): è un luogo vero, non attrezzato ad uso e consumo dei turisti, per nulla affollato. Mi viene in mente il confronto con la bellezza un po’ artificiale di Capri e non ho alcun dubbio: Procida è il posto più bello tra tutti quelli che ho visto in zona. Durante il viaggio di ritorno devo essere sembrata come quello là che chiamavano vasa vasa, tanto era il mio entusiasmo per tutti e tutto.

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