Attaccati al tram! / 2

E così hai fatto scoprire la bellezza del tram a qualcun altro, e adesso ti attacchi al tram, perché non potrai più andare dove dovevi andare ma verrai trascinato fino all’altro capolinea, ai confini di Milano. Tram 27, Piazza Fontana/Viale Ungheria, si sferraglia fino agli incontri ravvicinati con gli aerei di Linate. Solo dopo potrai tornare per scendere dove dovevi scendere.
«Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è sulle panchine in Piazza Grande». Ah, no, non sono io a cantare questa volta perché io le colonne sonore non le sbaglio mai. Non è che siamo finiti a Bologna e questa è piazza Giuseppe Grandi, scultore della Scapigliatura lombarda, a cui è dedicato questo monumento, in piazza Grandi, appunto.

Per me da piccola era il gigante ma ha una sua storia.
Prima di intraprendere il cammino di corso XXII marzo fino a piazza Cinque Giornate, ci si ferma in piazza Emilia per assaggiare se la fontana quasi identica all’acqua marcia del Parco Sempione è marcia anche lì: no. Si va quindi in largo Marinai d’Italia, a vedere la Palazzina Liberty intitolata a Dario Fo e Franca Rame. Quanto hanno dato a Milano e quanto se ne avrebbe bisogno adesso in questo momento di massimo squallore di pensiero.
La figurina attaccata lì sul vetro,

non si sa da chi e perché, mi riporta alla memoria la mia infanzia. Probabilmente l’unico album di figurine che sia mai riuscita a completare. E comunque Dario e Franca si amavano tanto.
È un periodo di allineamenti astrali, o come si chiamano, perché io di astronomia non so nulla. Registro solo ciò che vedo: la luna è sorta e il sole non se n’è andato. Uno squarcio giallo mimosa rallegra la vista.

Il tempo di girare e rigirare nel parco ed è crepuscolo.


(Fontana Marinai d’Italia)

Non ho una soundtrack per questo tour, quindi cercatevi qualcosa di Jannacci, probabilmente l’unico milanese che si è battuto la città palmo a palmo, o ripigliatevi Luci a San Siro che va bene così, perché io lo so come siamo fatti, andiamo, torniamo, impassibili ma con dentro il magun, perché luci «non ne accenderanno più».

Venite tutti in piazza fra due ore

Funerali FoLa coda del corteo che lo accompagna sta passando proprio mentre esco da Cordusio. Ma non è ancora la coda, mi accorgo che c’è tanta altra gente a seguire. Io però vado su da via Mercanti, perché sempre da lì passo, forse per il negozio scozzese o forse perché così ho sempre fatto. A un passo dalla piazza sento le note di Ma che aspettate a batterci le mani? Mi viene un groppo, mi vengo in mente io da piccola in giro per casa a berciare Venite tutti in piazza fra due ore, vi riempirete gli occhi di parole…, immaginando di essere una dei guitti del carrozzone che invitava gli altri. Mi metteva una tale allegria questa canzone e ho continuato così negli anni a venire, a ridere fino allo spasmo, perché Dario Fo era di un’allegria e fisicità incontenibili. Le poche gocce si trasformano impietosamente in acquazzone, ma si resiste. Forse sentiamo tutti di doverglielo, rendergli un poco del tanto che ha dato a Milano.

Funerali Dario FoO magari perché ci pare con quegli ombrelli aperti un po’ per volta, quando proprio non se ne poteva più, di farci scudo alla mediocrità che è andata a gonfiarsi anch’essa come il rovescio di pioggia o alla satira trasformista venduta al miglior offerente.

Nel giorno della morte di Dario Fo Alessandro Baricco solleva obiezioni al Nobel per la letteratura dato a Bob Dylan: “Che c’entra con la letteratura?”. Gianni Riotta prova l’incontenibile impulso di controbattere: “E tu, sei proprio sicuro di entrarci qualcosa?” Al primo si sarebbe potuto suggerire che sarebbe stato più intelligente fare un’altra domanda: “Perché l’Accademia non ha dato il premio a uno scrittore?”. Al secondo invece chiedergli perché una reazione da non-mi-hai-fatto-male-faccia-di-maiale.
In teoria, dovrebbero far parte della classe degli intellettuali. In teoria.

La pioggia non s’arresta e sul tram annebbiato di umidità mi viene quasi da ridere, a pensarlo forse lì, a discutere “col Palestina”.