Colori nella nebbia. Gino Rossi, un romanzo

copertina gino rossiA me piace fare la correttrice di bozze, ma come ogni lavoro ha le sue sfumature, i suoi alti e bassi, insomma. A volte capita che ciò che leggi lo senti in maniera diversa, anche se il correttore deve galleggiare sopra le parole, non può farsi trascinare sotto dal disinteresse o dal troppo interesse.  Però c’è una differenza che non posso negare, quella che intercorre tra il leggere articoli di riviste e racconti o romanzi. Le riviste sono fatte da giornalisti, chi scrive lo fa di mestiere e racconta dei fatti. Quando invece mi trovo tra le mani dei manoscritti di persone che non vivono di scrittura faccio molta più fatica a restare sul bordo. Perché è come se mi affidassero un pezzetto della loro vita, anche quando non c’è niente di autobiografico. Sono riusciti a ritagliarsi degli spazi, chissà con quanta fatica, nella loro vita quotidiana per scrivere. Forse le loro idee sono nate quando erano bloccati in una coda, sull’autobus o davanti a un televisore acceso e non ascoltato o magari persino nei risvegli notturni. Poi, nei momenti liberi, sono corsi al computer a fermare le parole. E io so la bellezza che porta con sé la scrittura. Raramente ho conosciuto queste persone, a volte nemmeno ho sentito la loro voce al telefono. C’è questo scambio di note, di mail, ancora scrivere, ma ciò non vieta che il rapporto diventi personale. E così qualche giorno fa ho trovato una busta di quelle con le bolle d’aria che proteggono il contenuto e che fai fatica a tirare fuori dalla casella perché non la vuoi strappare. Ho capito cos’era ancora prima di aprirlo e nei sette piani di neon freddo d’ascensore ho sorriso al morbido paccozzo. Sulla prima pagina A Elena, e questa cosa qui, un libro con dedica, campassi cent’anni mi fa sempre un gran piacere. Firmato Giovanni Tonellato e Nicola Tonelli. Chi me l’ha mandato è il primo, perché, bontà sua, mi ha affidato dei racconti da rivedere.

La prima riga è mesta, due righe oltre e la mestizia si ammanta di famigliare, è qualcosa di vissuto e di già visto a noi che conosciamo i chilometri che appartengono al Po, dopo che è nato e prima che si mescoli al mare.

La mattina è fredda e piovosa, di quelle che solo noi della pianura possiamo conoscere. Chi viene da fuori ci chiede come facciamo a vivere interi giorni senza vedere mai il sole e con la nebbia che ti entra nelle ossa.

Arriva la mia fermata e persino San Siro stamattina è fluido nella nebbia, ma non è la nebbia dell’argine dentro cui mi ha portato il libro. Questa di Milano è bucata di fari e rumori, quella di pianura è assoluta.
Tra una fermata e l’altra, anche appoggiata al corrimano della banchina, mi accorgo di stare dentro al libro e non ho voglia di uscirne. È difficile che mi succeda con i contemporanei. È la vita del pittore veneto Gino Rossi, narrata alternativamente dal suo diario che parte dall’infanzia e da chi l’ha conosciuto, in primis la ragazza che ha condiviso con lui l’oscurità del manicomio. Raccontano intorno al tavolo di una vecchia osteria, con la porta in legno gonfia di umidità che non riesce a tenere a bada gli spifferi, il camino e la trippa che cuoce lentamente sul fuoco. Sullo sfondo la violenza cieca e senza senso del fascismo, la crudeltà dell’ospedale psichiatrico, il contrapporsi degli esseri umani: i matti, nemmeno considerati umani, e i “normali”, tanto normali da essere spesso loro stessi gli artefici della follia. La consolazione è la bontà di pochi che non è riuscita a soccombere, il ritratto tenero dell’oste impacciato, e i colori. Arrivano come lezioni d’arte o nella sola forma di ricordi a fendere il bianco e nero in cui è ormai costretto Gino Rossi. E potenti abbastanza da palesarsi come macchie sulle pagine.

“Perché ha smesso di dipingere?”.
“Ho perso il colore buono”.
“E qual è quello buono?”.
“Quello che non sussurra, è spavaldo e affronta la vita a testa alta”.

“I colori sono della natura che li crea con sofferenza e selezione naturale. Secondo me Dio vede in bianco e nero”.

E poi c’è la Francia dei pittori, Parigi e la Bretagna.
“Parigi (…) Mi fa perdere la testa l’aria frizzante della sera, i lampioni che ogni notte illuminano i boulevards, le feste nei grandi palazzi. Preferisco il porto di Douarnenez, avvolto nei silenzi dell’oceano”.
Sorrido al ricordo di Douarnenez, doveva essere un luogo più tranquillo, più caratteristico all’epoca, penso.
(…) In un certo momento della giornata, con il sole che non arriva al suo culmine, si possono vedere tutti i celesti del mondo”.

Il lettore vorrebbe restare, permanere nel caldo fumoso di braci dell’osteria e vedere la cena pronta ma capisce che deve uscire e affrontare il gelo della neve. Quando ormai si sente perduto, una breve, normalissima frase carica di speranza apre la vicenda ad un futuro possibile.

Giovanni Tonellato, Nicola Tonelli
Il pittore inquieto e la ragazza del fiore
Collana Il Rosone
Editrice Santi Quaranta, Treviso

Bevet Breizh!

Avviso ai naviganti. Non sono riuscita, come avevo pensato, a limitare le parole, ma credo che un viaggio è fatto anche di persone e non solo di luoghi. Troverete qui dunque un po’ di bretoni e non solo di Bretagna. Ma potete salvarvi: i link ai video sono alla fine del post.

100_3411Ed eccomi tornata ancora una volta con un pezzettino di una misteriosa lingua del Nord della nostra vecchia Europa. Viva la Bretagna!
Il viaggio incomincia e proseguirà all’insegna della fortuna e il sole brillerà fin quasi al mio ritorno.
La mia conoscenza con il dipartimento del Finistère inizia da Brest. Ci arrivo verso sera, resta il tempo di una passeggiata sulla banchina del porto e di un incontro ravvicinato con le moules-frites, un loro piatto tipico: cozze e patatine fritte. Un accostamento insolito che però a loro viene bene.

1 – Île de Ouessant

Il giorno dopo è già viaggio in mare, destinazione Île de Ouessant. Coste frastagliate mi accompagnano nel tragitto, interrotte qua e là dalla visione dei fari.

100_3414 postQuando improvvisamene il mare diventa grosso, credo di star facendo la conoscenza con la corrente del Fromveur, tra le isole di Molène e Ouessant, di cui avevo letto. Lo spettacolo che mi trovo davanti quando scendo dal battello mi ripaga dall’ingrugnimento che sempre accompagna le mie levatacce e della navigata durata più di due ore.

100_3429 post100_3432 postTutte le persone del battello si accalcano dentro le navette che portano al paese ma io sono già caduta nel tunnel del viaggiator ramingo, o meno romanticamente definito del pirla che si perde scientemente. Vengo ammaliata da strani fiori che spuntano dagli scogli e dal mare che sembra avere tutte le combinazioni del blu.

100_3433 postQuando mi decido a riprendere in mano la situazione, pochi sono i segnali di presenza umana intorno a me. 100_3436 postEstraggo la carta dell’isola e mi metto a studiare la situazione. Poco più in là affittano delle biciclette e per qualche secondo penso di darmi a quelle, però una volta valutata la pendenza delle strade concludo che sarebbe la bici a noleggiare me. Mi incammino per il paese di Lampaul. Dopo un po’ capisco che la strada non costeggerà mai il mare, e io sono lì per quello. Così decido di tornare indietro e di prendere la direzione verso il Phare du Stiff.100_3450 postUn ristorante nel nulla dice che quella potrebbe essere l’ultima occasione nelle ore a venire per cibarsi.100_3441 postLì troverò l’incipit del capitolo Gastronomia francese: qualunque cosa mangerai e anche quando non capirai cosa stai mangiando, sarà buona, e ci sarà grazia ed eleganza in quei piatti. Quella che da noi trovi solo nei ristoranti costosi, lì abita anche le brasserie. Vedrò il mare e le coste, prenderò la navetta al volo (l’ho detto che la fortuna mi ha sorriso), e poi casette, una spiaggia di un bianco caraibico, e fiori fiori fiori. Colori. 100_3500Quando un bimbo alle mie spalle mi sussurra «madame, vous avez perdu ceci», sarà l’inizio della faticaccia finale. Il bimbo capisce dal mio merci che non sono francese e lo dice alla nonna. Nella nonna deve scattare qualche furor sacro e sulla navetta mi trascina in una spossante chiacchierata. Figli e nipoti sono stanchi, io sono stanca ma la nonna mi costringe a dar fondo alle mie risorse mentali per esibire un francese passabile quando ormai non riesco più nemmeno a tirare un bah in italiano. Sul traghetto del ritorno tutti pisolano e io sto per iniziare l’inventario delle mie ossa quando mi accorgo di un muso che mi guarda. La sua padrona dorme nei sedili di fronte e il cane cerca conforto da me.100_3509 post

Il guinzaglio si ingarbuglia, la mia mente vaga alla ricerca della parola, e mo’, come si dirà attorcigliato? Liberato il cane, i due si addormentano abbracciati, nessun altro pericolo francese in vista, anch’io con «quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita» riprendo i miei pensieri di colori. Non è solo una citazione di Conte. Figurati se mi veniva in mente di portare una crema solare sull’Atlantico! Mi sento bruciare la faccia e in albergo mi accorgo che il vento e il sole hanno acceso il mio naso di un imbarazzante magenta.

2 – Trégastel, Côte de granit rose100_3522 postIl secondo giorno punto su Lannion, prima stazione raggiungibile per vedere la Côte de granit rose nel dipartimento Côtes d’Armor. In stazione vorrei andare in bagno ma scopro che poco praticamente ci vuole una moneta da 20 centesimi, solo quel pezzo. Una signora mi dice di andare dal ferroviere, io ci vado con in mano la mia moneta da 50 centesimi. Il ferroviere è più pratico del sistema toilette: «pipì ou cacà?» mi chiede. Sento che mi si alzano le sopracciglia, penso di non aver capito ma ho capito benissimo, rido ma lui da sotto il cappello non si scompone. E dunque: pipì, rispondo. La scelta mi fa vincere l’uso del loro bagno-sgabuzzino. Il viaggio in treno dura più di due ore e so già che dovrò prendere un taxi per raggiungere Perros-Guirec, uno dei paesi più belli sulla costa. Trovo una simpatica e determinata tassista che mi consiglia di puntare su Trégastel: io vivo a Perros-Guirec ma mi creda, Trégastel è più bello. Io l’accompagno all’ufficio turistico, prende la mappa, la porto vicino al mare e le faccio vedere che percorso deve fare. E da là poi riesco a tornare a Lannion? Chiedo. La vengo a prendere io. Ok, ho trovato qualcuno che mi ha organizzato il giro e data la distanza penso che sia meglio evitare il perdersi scientemente. Qui mi ritrovo al cospetto di una sfacciata esibizione di bellezza terrestre. Già, a volte la nostra Terra mi appare come un pavone superbo che impettito ci apre la coda davanti, come a buttarci in faccia la nostra piccolezza e la meschinità che abbiamo nei suoi confronti, e la paura di perderla per sempre. Il vento ancora una volta batte forte, le pietre in bilico, la loro forma di animali, i segni delle maree, sembra quasi il paesaggio di un altro pianeta. Non so perché, ma viene in mente il vecchio film Viaggio al centro della Terra, quando riemergono dal sottosuolo, e le scimmie di 2001: Odissea nello spazio.100_3551E chi li ha messi lì allora quei pietroni, che non lo dite mai, eh? domando a tutti quelli che avanzano bizzarre spiegazioni aliene per Stonehenge et simili. Faccio il circuito di Ile Renote, quasi due ore di cammino con un passaggio che ti costringe a infilarti tra due massi togliendoti lo zaino, e a sperare che ci sia ancora un sentiero dall’altra parte. La tassista mi riprende dove mi ha lasciato, come aveva promesso. Dall’autoradio giunge una di quelle loro monotone canzonette e a me viene in mente Plastic Bertrand. Non ricordo cosa cantasse e nemmeno la sua faccia ma mi ricordo che la sua unica canzone aveva avuto un gran successo negli anni 80. Le mie memorie le provocano un eccesso di ilarità, mais il était terrifiant. Sono d’accordo con lei ma voglio sapere se esiste ancora: no, non ha più fatto niente. E visto che si è divertita così tanto, rilancio con Stéphanie di Monaco. Un altro eccesso di ilarità. Ma per smetterla di fare la buffona cito Alan Stivel e recupero una certa dignità. E voi che cantanti avete? E come si fa a rispondere a questa domanda, quanti ne abbiamo tra bravi e cani rognosi? Così mi vengono in mente i due più internazionali: fuori una, Lorà Pausinì (bisogna dirglieli come lo dicono loro, se no non capiscono), uuhh, je l’adore. La Laura Pausini mi fa venire la gastrite quando parla e quando canta il ballo di San Vito, ma lascio perdere, dico solo che non mi piace. E fuori due: Eros Ramazzottì. Uh… Superbe… Je l’aime, de plus. La stazione arriva e ci salutiamo calorosamente. Devo cambiare treno a Guingamp ma ha un’ora di ritardo, che diventerà un’ora e mezza. Be’, nemmeno loro sono così perfetti. Guingamp offre solo un paio di pizzerie take away, ma se anche la take away poi dove la mangio in mezzo a tutto quel vento? Mi rintano nella stazione, entra un drogatone con l’immancabile lattina di birra. Ritardi e drogatoni da stazione, adesso mi sembra di essere a casa. Ma persino lo sbandato ha una sua dignità. Caracolla un po’ in giro alla ricerca dei suoi animaletti immaginari e poi se ne va. Il bigliettaio mi chiama e inizia a spararmi in rapida successione una serie di numeri, bravo te, che già faccio fatica a capirli in italiano. Il treno dopo il mio arriverà prima del mio quindi mi prende il biglietto con prenotazione, lo timbra, poi piglia me, mi porta al binario, s’accorda coi suoi colleghi e mi imbarcano. Sì, questi bretoni mi piacciono proprio.

3 – Plougonvelin e Le Conquet100_3564 postQuesto sarebbe il giorno del “riposo”, i tragitti non richiedono più di un’ora. Plougonvelin è un grazioso paesino con una sua bella chiesetta. Scendo poi verso il mare. Anche qui è un’apoteosi di fiori e poi la casa rossa evidentemente abitata da buddhisti.100_3568 post100_3569 postAlla fine della strada si apre il mare. Il vento quel giorno dà di matto ma ormai ho trovato i miei sistemi di foulard e cappucci e non sarà certo lui a fermarmi dall’esplorare quella spiaggia immensa. Un surfista prova inutilmente ad avere la meglio, alcuni temerari prendono il sole come se fossero su un comodo lettino di Bellaria, il corpo di un granchio e le conchiglie attaccate agli scogli all’asciutto sono la traccia che anche qui c’è il fenomeno delle maree. 100_3593 post100_3586 postLa sabbia bianca luccica come se fosse piena di diamantini. 100_3576 postUna galette e qualche ora più tardi è tempo di Le Conquet. Cerco inutilmente riparo dal vento dietro a un esile tronco di palma in attesa del pullman. Il centro di Le Conquet mi catapulta nel Medioevo,

100_3598 posti negozi sono una celebrazione alle origini celtiche e c’è anche un certo gusto per i pirati. Compro un anello celtico che cambia colore a seconda dell’umore. Non andrà mai oltre il blu: normale. Solo più tardi, cacciando le mani nella valigia, diventerà giallo ansia. Un pullman è diventato fantasma e il successivo è in ritardo. La pensilina si trasforma in un salottino dove l’ospite è una signora anziana, l’unica che non deve prenderlo. Parla ininterrottamente da mezz’ora con un’amica, sembra intendersene di creme e shampoo e un brano della conversazione mi colpisce quasi come uno schiaffo: ho perso i capelli per una malattia. Quando si è viaggio si sta in un tempo sospeso, sopra la bruttezza della quotidianità, e queste cose ti riportano indietro e ti fanno anche capire che il turista a volte è un po’ arrogante: stiamo lì a dire questo è simpatico, quello meno, misuriamo col metro del folklore dimenticandoci che lì, per loro, è la vita. Ora capisco quell’incontenibilità di parole, parla con me e con tutti gli altri e nemmeno si accorge che non siamo connazionali. Già, perché quella pensilina in quel paese così francese che geograficamente sembra esistere solo per i francesi è diventata un pezzetto di mondo: c’era un’italiana, due svizzeri e una cinese di lingua francese, ma chissà da dove. E canta. Una melodia dolce: è l’inno bretone, ma non c’entra l’indipendenza, loro sono francesi, è una canzone d’amore per la Bretagna. Vedrete, ora il pullman arriverà, quando ero ammalata lo cantavo per sentirmi più sicura. Il pullman arriva. La salutiamo e ringraziamo. Ha mitigato la nostra ansia da assenza di mezzi. Lei resta sola e io spero che a casa abbia un’altra pensilina.

Non so se è in questo giorno o già dal precedente che metto a fuoco quello che manca in questi spostamenti: è il rumore continuo e molesto di suonerie, di conversazioni urlate e idiote. Qui in viaggio si può leggere, dormire, pensare. Anche loro hanno legami, personali e di lavoro, ma si vede che riescono a portarli avanti senza farli ricadere sulla collettività. Vedrò gruppi di bambini e autobus pieni di adolescenti fare i bambini e gli adolescenti e non le mandrie allo sbando di bovini mugghianti come da noi. Vedrò i genitori fare i genitori e non i gobbi di corte del loro principino. E sui loro Intercity non c’è l’annuncio che dice: Si prega di abbassare le suonerie e il tono delle conversazioni, perché probabilmente si offenderebbero a dirgli una cosa ovvia. Anche i francesi mangiano, bevono, fumano ma non ci sono in nessun luogo, nemmeno ai bordi di una carreggiata, i residui di queste attività. Le strade, anche le più trafficate, sono cose su cui viaggiano le macchine e non rodei di clacson e sgommate. Bisogna prenderne atto: siamo un popolo di burini individualisti che pensa che fregarsene costantemente degli altri e dell’ambiente ci rende più appagati. Non hanno il made in Italy ma la volgarità non è di casa. Michelangelo e soci riusciranno per sempre a sopperire alle nostre mancanze?

4 – Douarnenez e Quimper

La giornata si presenta carica di nuvole, penso che potrò vedere solo la città di Quimper ma una volta arrivata il sole ritorna. E dunque via su un altro torpedone alla volta di Douarnenez.100_3623 postÈ un bel paese di discrete dimensioni e il primo mare è il porto di piccole imbarcazioni. Poi la passeggiata lungo la costa. Dove mi fermo a mangiare, mi imbatto in uno strano coltello: lo appoggio e hop, lui si gira con la lama in alto. Non l’avevo mai vista una cosa così, diventa subito il coltello Ercolino-sempre-in piedi. Il paesaggio è bello ma di tutti quelli che ho visto il meno particolare. Il viaggio è fatto anche di attese e spazi vuoti. L’attesa per il pullman per tornare a Quimper è riempita da un cane alla finestra.100_3650 postCi guardiamo reciprocamente, poi intorno, poi in direzione del pullman e poi torniamo a guardarci. Non so se anche lui sta aspettando qualcuno o se sta solo riempiendo minuti da cane. Prima di partire avevo messo il video di Le vent nous portera. Come una simpatica premonizione, non solo il vento mi ha portato (talvolta letteralmente) ma all’entrata a Quimper faccio in tempo ad estrarre la macchina per immortalare questo100_3651 postA Quimper resta il tempo per vedere la splendida cattedrale di Saint-Corentin, il fiume Odet e qualche amenità.

100_3654 post100_3671 post100_3672 post100_3674 post100_3673 postIl tragitto Quimper Brest è coperto dai treni Ter (i nostri regionali), dai pullman Ter che sostituiscono qualche treno e dai pullman Penn Ar Bed. Insomma, per capire quale sarà il mezzo, devi interpretare i disegnini sull’orario. Quello che io ho fatto ma non i bigliettai, che mi rimbalzano tra la Gare routière e la Gare Snfc. La tipa della Gare routière mi dice di tornare alla Snfc e che se hanno dei problemi di farla chiamare. È il terzo viaggio che faccio, e meno male che sono vicine, e per la prima volta sento un po’ di irritazione, sento che potrei litigare o farli litigare tra loro, anche perché ho capito che ha ragione la donna (ovvio) e non i maschietti, così, tra l’uno e l’altro opto per l’informatica, il biglietto me lo fo io alla macchinetta. Epperò il perfido ghigno arriva: siete più storditi di noi.

Gli spostamenti rivelano la Bretagna interna, fatta di immensi e ordinati campi verdi, mucche libere al pascolo, qualche insediamento di poche case e graziosi paesini. Qua e là spuntano pale eoliche. Le indicazioni sono sempre in francese e bretone, che viene insegnato in scuole bilingue.

5 – Brest e il Giardino botanico

Il vento dei giorni e delle notti precedenti sembra essersi dissolto anche nella più lieve forma di refolo, il cielo è tetro e c’è un insolito caldo umido. Non so se per loro è normale, ma a me sembra che l’afa padana sia risalita fin lì. È il mio ultimo giorno a Brest e glielo devo dedicare. 100_3691 postNon è una bella città, va scelta per la comodità che offre negli spostamenti. Il centro è popolato da una fauna locale non tanto raccomandabile. La stanchezza dei giorni precedenti e quel clima strano mi pesano addosso e fin verso le 11 non riesco a far altro che brevi camminate alternate a lunghe pause sulle panchine. Poi punto sulla mia rotta: il Giardino botanico. 100_3718 postÈ in una poco attraente periferia della città ma appena varcato il cancello mi trovo in un altro mondo. Felci, sconosciute foglie enormi, verde, ruscelli.100_3700 postE fiori, fiori.100_3699 postI colori e le forme sono una visione psichedelica e mi faccio prendere dall’ingordigia fotografica. Per la prima volta riesco a mangiare all’aperto. A Brest c’è il Museo della fragola, dunque deve essere una specialità, e quando le vedo nel menu devo per forza farne la conoscenza. Queste per la precisione sono di Plougastel. Scopro che la loro Chantilly non è come la nostra, ma siccome si chiama Chantilly per forza dobbiamo essere stati noi ad aver pasticciato qualcosa, però la nostra è più buona (ah ah). Ci sarebbero anche le Serre tropicali ma non riuscirei a reggere il clima caldo e umido. Poi arriva la pioggia. Silenzio e richiami di uccelli, «il croscio che varia secondo la fronda più folta, men folta». Ma siamo in Francia,  «Je me suis appuyée à la beauté du monde et j’ai tenu l’odeur des saisons dans mes mains.» (L’offrande à la nature, Anna de Noailles)

In questa parte di mondo la luce del tramonto si prolunga fin verso le 11. Alla sera i gabbiani scendono in picchiata su Brest, rovistano nei bidoni dell’umido e quando trovano un boccone interessante innescano delle lotte furiose, in un turbinare di ali gigantesche. Per quanto mi sforzi non riesco a trovare nella mente il corrispettivo francese di seagull. Swim seagull in the sky towards that hollow western isle… ascoltare in continuazione musica inglese è stato un bene, e i Duran Duran poi facevano testi del tutto privi di senso ma con un mucchio di parole. We learned more from a three minute record, baby, than we ever learned in school, diceva Bruce Springsteen. Chiedo al cameriere come si dice seagulls: mouette, mais ces ici sont plutôt des goélands. I goélands sono quei grossi chiattoni che ho lì di fronte. È il momento di raccogliere le cose sparse, fuori le grida continuano nonostante la pioggia, sento che mi mancheranno, le grida dei gabbiani sono sempre state una specie di addio ogni volta che ho lasciato un mare. Apro la finestra e un’ala bianca mi prende quasi in faccia. Afferro la macchina fotografica e inizio a filmare ma dispettosi non ripetono più l’exploit. Sull’altro edificio un esemplare mi prende platealmente in giro, camminando e inscenando voli che non ci saranno.

6 – Rennes

100_3776 postIl primo impatto con Rennes non è tra i migliori. Piove a dirotto, la camera d’albergo sembra quella dei sette nani, dove però possono entrarci solo uno per volta, la gente non è cordiale, parla un francese arrotato e quasi nessuno sa indicarti la strada. Avevo immaginato Rennes una piccola città medioevale e nel mio itinerario posta come tappa di avvicinamento a Nantes, da dove la domenica partono i voli senza scali per Milano. E così l’avevo messa nella parte disorganizzata del viaggio, quella che lasci al caso. In realtà è una città molto grande e moderna, non ho una mappa e le indicazioni turistiche sono scarse se non assenti del tutto. L’ultima persona a cui cerco di carpire informazioni è una signora palesemente maldisposta e quindi mandando tutti mentalmente a quel paese, inserisco il mio personale pilota automatico. L’unica traccia che ho è la cattedrale di Saint-Sauveur, descritta come irrinunciabile. In un bar mi guardo intorno, un paio di quarantenni e un gruppo di signore di una certa età ed eleganti: quello è il mio obiettivo. E infatti mi indicano la strada senza esitazione. Torno ai miei profiteroles, che non sono come i nostri (ma se si chiamano profiteroles…) e loro parlano di un posto con le collezioni italiane di quadri. Vedi lì che ci avevo azzeccato. Saint-Sauveur è una bella chiesa ma non è lei ad essere irrinunciabile, è la cattedrale di Saint-Pierre. Mi ci ha indirizzato un signore a cui avevo chiesto se quella era Saint-Sauveur. Oui. Poi mi guarda serio, un po’ troppo serio. Mi fa pigliare un colpo: e adesso che gli ho fatto a questo? Ma stava solo prendendosi un paio di secondi di riflessione per indirizzarmi a Saint-Pierre, c’est vraiment un chef-d’oeuvre. Quella di Saint-Germain non ha niente da invidiarle e qui mi fermo per ascoltare l’organo. Il sole è tornato, il vecchio centro l’ho trovato ed è proprio bello. C’è una cosa che sembra caratterizzare Rennes: gli aromi. Ti colgono all’improvviso e non sempre hanno una spiegazione visiva. A volte sono profumi di dolci, a volte di cibi raffinati, non fritti o simili. Ma in altri casi sono semplicemente profumi. È come se una brezza inebriante arrivasse tra i vicoli per poi andarsene, misteriosamente come è venuta.

7 – Nantes

100_3817 postOrmai la bussola punta al ritorno. Avevo considerato Nantes meno interessante di Rennes e invece è l’esatto contrario. Anche questa tappa è disorganizzata e l’unico punto certo è il Château des ducs de Bretagne. Il signore dell’albergo capisce al volo che mi piacerebbe sapere dell’altro, mi dà una cartina e in pochi minuti mi spiega tutto quello che c’è da sapere. Le attrazioni sono comunque molto ben segnalate, con l’intelligentissima aggiunta di riportare i minuti di percorrenza a piedi. Scopro un po’ di storia di Bretagna, 100_3813 post100_3809 post

100_3807 postvedo bellissime chiese tra cui la cattedrale di Saint-Pierre. Poco lontano dalle mura del castello, una targa segnala tristemente che Nantes era un centro di commercio degli schiavi. Mi ritrovo in un ingorgo umano da sabato pomeriggio, decido di andare a vedere la Loira100_3864 postanche se fuori dal circuito centro. La Loira costeggiava anche il castello ma poi è stata asfaltata e ora ci passano tram e auto, ma scopro un cantiere che recita: Création d’un miroir d’eau… ah, ma allora è un vizio coprire e scoprire… Nantes è popolata da un discreto numero di ceffi e questo mi fa un po’ rimpiangere la pacifica quiete di Brest.

Il viaggio è finito, non mi resta che associarmi

100_3679 postOltre il viaggio

I segni della storia e il bretone

Brest

BrestBrestBrest100_3683100_3695 post100_3697 post100_3758 postLe Conquet

100_3602Ouessant

100_3440 postDouarnenez

100_3632100_3635100_3639100_3640Rennes

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Pubblicità

100_3692 postSono rimasti legati al tipo di bellezza di Alain Delon o è lui di persona (certo, mezzo secolo fa)? Comunque sia, la pubblicità campeggia ovunque e non mi ha affatto infastidito.

100_3756 postQuesta invece mi ha divertito per il suono onomatopeico di grignoter. E comunque non dovrebbero assillarli, contrariamente agli inglesi e agli americani si portano benissimo.

Anche la pubblicità di Axa mi fa sorridere: c’è l’imprenditore a cui brucia la fabbrica, Axa lo rifonde così lui non lascia a casa i dipendenti. La stessa identica cosa che capita all’imprenditore italiano nella nostra versione.

Barche

Non mi dai il posto al porto? Je m’en fiche, me la tengo in casa. La prima pensavo fosse un caso, ma poi ho visto che è un’abitudine. Qualcuna se ne stava anche parcheggiata accanto all’auto, chissà se alla mattina mezzi addormentati non cercano di infilarle la chiave nel timone.

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Video

Bretagna tra mare e terra

Bretagna – Le cattedrali