Libri. La teoria del This is not America

Mi hanno prestato un libro di Joe R. Lansdale. Lo inserisco alla voce Libro per passare il tempo. Leggibile, ma nulla di più, a tratti brutto o oltremodo violento. Non ricordo il titolo, solo che trattava di un serial killer. La trama però è scritta abbastanza bene da non far capire chi sia l’assassino fino alla fine. Poi mi chiedono se ne voglio leggere un altro. È un formato da viaggio: leggero di peso e di scrittura, e quindi, perché no? Stavolta il titolo lo ricordo: Il mambo degli orsi. Questo è decisamente meglio dell’altro, i personaggi, nella loro eccentricità, sono interessanti, i luoghi percorsi sono quelli dell’altra America:  lontanissima sia dalle moderne luccicanze di New York, Los Angeles o San Francisco, sia dalla bellezza immensa dei parchi. È un’America sperduta, chiusa in se stessa, brutalmente razzista e omofoba, ostile tanto nelle persone quanto nella natura che la circonda. La lettura scivola via, è letteratura da viaggio, appunto. A volte si sorride, a volte ci si ritrae. Il linguaggio è esageratamente volgare: visto il contesto, il ricorso al turpiloquio è normale ma in alcune espressioni è del tutto inutile («…l’Hotel Grovetown era così maledettamente vuoto che si potevano quasi sentire i topi scoreggiare dietro i rivestimenti in legno delle pareti.»), non serve a rinforzare una situazione scabrosa né a far ridere. Anche il ricorso continuo a immagini metaforiche e ai paragoni alla lunga risulta pesante. Alla fine paiono più espedienti gigioni per accattivarsi i lettori e per non spremersi più del dovuto le meningi da scrittore.

Il fascino che invece è intatto è proprio quello di questa America altra, fatta di lunghe strade deserte, roulotte a uso abitazione, abitazioni di legno precarie e sporche che soccombono ai primi eventi meteorologici, e, soprattutto, i ristoranti nel nulla, gli unici del paese, con gli immancabili polli fritti, uova sbattute, cafferoni, torte stantie e avventori bellicosi. E disperata.

Così i primi paragrafi dello scritto che chiude il volume mi fanno pensare, certamente più del romanzo in sé.

Una lettura di Joe R. Lansdale
di Sandrone Dazieri

«L’impulso che coglie qualsiasi scrittore di noir (o giallo, o thriller) di casa nostra, dopo aver letto un romanzo come Il mambo degli orsi, credo che sia quello di uscire in cerca di un bar e prendersi una sbronza. Non c’è niente da fare. Per quanto talentuosi, non si può combattere il rio destino che non ci ha fatti nascere in una nazione dove esistono cittadine come Grovetown, KKK e morti sospette. Dove si possono far perdere le proprie tracce tra un miglio e l’altro, aiutati dalla mancanza di carte d’identità. Dove si può circolare con un bagagliaio ricolmo di armi senza appartenere alla criminalità organizzata.
Al confronto, qualsiasi romanzo nella Milano violenta e nella Bologna dei misteri sembra il giornalino della parrocchia, per quanti morti ammazzati ci si possa infilare.»

Sandrone Dazieri è uno scrittore che da anni mi riprometto di conoscere da vicino (e non l’ho ancora fatto…), se non altro per capire come sia riuscito a costruire trame in una città sonnacchiosa e sempre uguale a se stessa come Cremona. E quindi su questo punto verrei dalla sua. Non del tutto però. A Giorgio Scerbanenco è riuscito benissimo di dipingere una Milano giallo-nera ma a Carlo Lucarelli solo discretamente la sua Bologna di polizia e delitti. Bella la Torino gialla di Fruttero & Lucentini, ma Francesco Guccini nel suo Appennino tosco-emiliano non riesce a toccare le vertiginose altezze di stile che gli sono solite. Però Sandrone Dazieri ha ragione, la geografia non è dalla nostra.