“Made in Italy”, ma si perde persino l’Emilia

Sono andata a vedere Made in Italy perché Ligabue regista mi piace. Mi era piaciuto molto Radiofreccia, solamente un poco meno Da zero a dieci. Perché ho letto che è stato girato a Novellara, un’occasione per rivederla, anche se solo sullo schermo, lei e la sua Emilia che si porta dietro. E pensavo di ritrovare qualche bella pennellata di Buona notte all’Italia, …fra San Pietri e Madonne/fra progresso e peccato/fra un domani che arriva ma che sembra in apnea/ed i segni di ieri che non vanno più via. Purtroppo no. Made in Italy è un film inconcludente, un pentolone di cose che risalgono in superficie perché mai approfondite. Dialoghi banali, a volte persino ridicoli. Sfiora il melodramma e quello che dovrebbe essere un inno alla bellezza dell’Italia si riduce nella trita e ritrita scena della corsa felice in mezzo a una delle tante nostre piazze. Dovrebbe essere una denuncia sociale ma il povero Stefano Accorsi si vede costretto a rispondere al giornalista che vuole giustamente inquadrarlo in una “categoria” che lui non è una categoria, lui è lui e basta. Il messaggio voleva probabilmente essere quello sacrosanto che esistono gli individui, le persone, il fatto è che il sociale non lo fai con il numeretto, uno per volta. Un pentolone appunto. Né lui né Kasia Smutniak (proprio brava) riescono a risollevare le sorti del film. L’intenzione è far vedere i drammi che affliggono il nostro Paese, come la perdita del posto di lavoro, che già fa schifo di per sé ma è tutto quello che hai, e l’impossibilità di ritrovarne uno contro le cose belle che tutti ci invidiano. La sostanza c’era. Si reitera poi un dramma che era già comparso nei primi due film, verrebbe voglia di dire a Ligabue che abbiamo afferrato il concetto.

Non poteva mancare un accenno al cliché cinematografico dello straniero felice perché ha la famigliona contro l’italiano senza figli o in unico esemplare, orfano e finanche senza zii e cugini. Tra gli indiani sikh (effettivamente numerosi a Novellara e dintorni) spunta un viso che mi è conosciuto. Ci metto un po’ ma poi mi ricordo che per qualche puntata aveva fatto parte del cast di Un posto al sole, Naya Manson, solo che là interpretava una ragazza turca. Indiana, turca… quando si dice lavoro flessibile.

Insomma, all’uscita è inevitabile pensare che chi s’accontenta gode così così.