Il ponte di Sant’Ambrogio tra scoperte e riscoperte

Parco industria Alfa Romeo Portello

Sembrerebbe che quest’anno sia stato segnato dalle panchine. Un po’ in panchina mi sono sentita a dir la verità, ma ora parlo di panchine vere. Dopo aver rincorso senza successo le Big Bench di Chris Bangle nel Monferrato, scopro per caso che a Milano c’è la panchina più lunga del mondo (stando alle fonti, 208 metri). Trovarla richiede un viaggio certamente meno avventuroso di quello delle colline, solo un minimo di orientamento e la dovuta attenzione a non farsi travolgere dalla mandria di cavalli vapore che corrono in viale Renato Serra. Ma se in piazzale Lotto, ultimo punto di quiete prima delle strade ad alto scorrimento, c’è la mia adorata Lady Oscar, posso andare tranquilla.

Entro nel parco da un accesso laterale e il groviglio di pre-tangenziali svanisce alle mie spalle davanti all’incanto di un vialetto con roseti, che termina sotto un arco di mattoni al di là del quale si gioca al più pacifico dei giochi: le bocce.
L’impressione è quella di trovarsi nell’occhio del ciclone, l’unico punto di calma al centro della furia.

Si sale a spirale in questo parco e non lascia indifferenti la vista sulle nuove architetture.

E sempre la mia totale ammirazione per gli street artists.

Vedo entrare e uscire piccioni dalle finestre, segno di assoluto abbandono. Un pensiero: va bene costruire il nuovo ma perché lasciare andare un palazzo così bello?


Lecco

Non si può stare troppo tempo senza il blu e se non è blu di mare, che di lago sia.

Il sole, il tramonto, la sera, i palazzi che si illuminano di immagini in movimento e statiche.

Vigevano

Il freddo è proprio brutto, la sera si torna pesti di gelo e stanchezza ma domani nevicherà, dicono. E infatti oggi nevica. Ma ieri c’era il sole e mai come in questo periodo si sente che “ogni lasciata è persa”. E poi c’è quella cosa lì, che in un posto ci sei già stato più volte ma poi scopri che ti era sfuggito qualcosa, come il fatto che in una casa del centro storico è nata Eleonora Duse.

Letture di accompagnamento

Come ricordano le targhe con citazioni che formano un percorso, di Vigevano era Lucio Mastronardi (Il calzolaio di Vigevano, solo per citarne uno).
La pioggia nel pineto di Gabriele D’Annunzio per ritrovare (forse) in Ermione Eleonora Duse.

Alessandro Manzoni indossa sempre la maglia numero 10, soprattutto a Lecco, quindi per una volta sta in panchina.

Di Renato Serra c’è un pezzo che mi accompagna da quasi tutta la vita, così disperatamente lucido:

Che cos’è che cambierà su questa terra stanca, dopo che avrà bevuto il sangue di tanta strage: quando i morti e i feriti, i torturati e gli abbandonati dormiranno insieme sotto le zolle, e l’erba sopra sarà tenera, lucida, nuova, piena di silenzio e di lusso al sole della primavera che è sempre la stessa? Penso a quello che va sciupato, a ogni minuto, intanto che io parlo, intanto che io penso, intanto che scrivo, sangue e dolore e travaglio di uomini presi in questo gorgo vasto della guerra. Che cosa diventano i risultati, le rivendicazioni di territori o di confini, le indennità, i patti, e la liquidazione ultima, sia pur piena e compiuta, davanti a ciò? Non c’è bene che paghi la lacrima pianta invano, il lamento del ferito che è rimasto solo, il dolore del tormentato di cui nessuno ha avuto notizie, e il sangue e lo strazio umano che non ha servito a niente. (Esame di coscienza di un letterato)

Lecco, fra acqua e presepi

Murale di partenza. Foto scattata non il giorno di questa partenza ma la stazione è quella.

Murale di arrivo. Stazione di Lecco.

Foto di sghimbescio per motivi logistici, esso murale insistente tra due muri non interrotti di spazi, tutto a esseri umani a seconda dello sporgere e del rientrare del loro moto perpetuo. Non credo che Manzoni me ne vorrà, anche perché in questo luogo manzoniano l’hanno ulteriormente omaggiato dipingendo magistralmente alcuni passi dei Promessi Sposi sulle stecche della ringhiera del lungo lago, in un modo che puoi leggerli solo se ti metti in una certa prospettiva, disegni compresi. E perché non hai fatto la foto? E perché davanti al migliore c’erano due ragazzetti che sembravano Renzo e Lucia.

E lui è sempre lui, il Resegone, quello che ogni tanto mi viene una gran voglia di vedere, quello che vedi meglio da Milano nelle ormai sempre più rare giornate limpide che non lì, perché sei troppo sotto.

Lecco si mostra più vivace dell’ultima volta che ci sono stata e, cosa per me abbastanza insolita, mi piace fermarmi a guardare le vetrine. Non corro giù come al solito verso il lago, che tanto poi arriva, e ogni volta sembra essere uguale a sempre eppure con qualcosa di diverso che non riesco a mettere a fuoco.

Aspetto l’imbrunire per vedere le luci del Natale.

Prima di entrare al chiuso della Mostra dei presepi, mi fermo a guardare l’aperto che ha già cambiato colore.

La mostra è allestita all’interno del Palazzo delle Paure, in piazza XX Settembre, sede anche di altre esposizioni. Non sono molti questi presepi ma splendidi, soprattutto se si considera che ciascuno è fatto da una sola persona. A parte quelli all’entrata, gli altri sono chiusi in specie di teche non molto grandi, la bravura nel creare la prospettiva è quindi straordinaria se si pensa che lo spazio a disposizione non è molto. I presepi sono qualcosa che mi incanta da sempre e questi sono veramente incantevoli.

Ora l’imbrunire non è più imbrunire, è bruno e basta, e Lecco sfoggia le sue luci.

Fa un freddo tremendo. Prendo qualcosa di caldo in un bar di fronte alla stazione, è vuoto. Stava chiudendo? chiedo. No, chiudo verso le sei e mezza, tanto se ne stanno già andando tutti. Ma non è tardi, dico. A Lecco alle sette e trenta non c’è più in giro nessuno, non siamo una città nottambula. No, direi di no, penso, ma quel freddo lì però fa ritirare anche me in anticipo.