Napoli, catacombe, zolfo e diaboliche tv-dipendenze

La prima meta sono le catacombe di San Gennaro. Dalla Centrale di Napoli prendiamo un taxi, destinazione basilica del Buon Consiglio, vicino all’entrata.
Il tassista mostra immediatamente tutto il suo disappunto sulla nostra destinazione e ci sciorina una serie di luoghi che, secondo la sua insindacabile opinione, meritano molto di più delle catacombe. Purtroppo per lui, tra le tante cose da vedere menziona solo quelle che avevo già visto, finché, stremato dai miei reiterati “ci sono già stata” , si butta sul lungomare Mergellina, con una giornata così bella di sole… tace solo quando capisce che siamo inamovibili, io invece tacevo già da prima, le mie risposte erano solo un lieve sibilo emesso giusto per cortesia mentre penso che non sopravviverò alla sua guida. Quando si infila tra un autobus e un furgone sono certa che le catacombe le vedrò… e per sempre.

Le catacombe di San Gennaro fanno parte di un articolato percorso nel cuore di Napoli, il Rione Sanità. Io ho scelto di visitare solo queste, ma con un unico biglietto c’è tempo un anno per vedere anche gli altri siti. Le visite sono accompagnate e la valorizzazione di questi luoghi si deve alla Cooperativa  La paranza, un gruppo di giovani del Rione Sanità, uno dei quartieri più difficili di Napoli.
Le ho inserite nel mio tour perché non avevo mai visto nulla del genere, o magari per quel mio gusto cinematografico e letterario che vira spesso verso il mistero, storie di fantasmi o di avventure archeologiche. Solo voltandomi una volta e intercettando una fuga di tombe scavate nella roccia ho avuto una vaga sensazione dei film di Indiana Jones, per il resto, già dall’ultimo scalino d’ingresso, non c’era niente di fantasiosa creatività. Il lieve senso di oppressione che ho avvertito era invece del tutto concreto. La caducità dell’essere umano, anche nei suoi risvolti macabri, sepolture comuni, corpi su corpi, aperture per far circolare l’aria ma, soprattutto, il peso della storia, di tutto quello che è venuto prima di te e che sopravviverà a te. E questo lo rende un posto affascinante. Chi è religioso, poi, troverà forse lì l’espressione del più puro cristianesimo.
Interessante l’esperimento delle installazioni multimediali: la prima, un filmato di introduzione alle catacombe che non manca di ironia; la seconda, Le luci di dentro, un rutilante gioco di luci e immagini che esprimono la nascita di un essere umano. Facile che i puristi torcano il naso ma se serve ad attrarre un pubblico più vasto e composto di giovani, va bene anche questa commistione tra antico e moderno.
Dalle catacombe di San Gennaro si esce nel Rione Sanità. Vicoli, motorini, auto, persone sembrano un insieme di cellule elettrizzate che schizzano in ogni direzione. Conviene prendere un taxi. Raggiungiamo piazza Cavour, dove c’è la metropolitana  2 che ci porterà a Pozzuoli, destinazione Solfatara dei Campi Flegrei. In realtà è un treno Trenitalia, ma non dobbiamo aspettarlo molto e riusciamo anche a sederci.
Alla Solfatara si accede tramite un bel vialetto immerso nel verde con alcune piante a noi sconosciute dai bellissimi frutti rossi. L’aspetto di luogo terrestre finisce qui, la Solfatara è un posto che non sembra appartenere al nostro mondo. L’impatto è forte. Il colore dominante è il bianco, che ricorda neve e ghiaccio e che contrasta con ribollimenti, sbuffi di fumo che si innalzano qua e là, sibili di vapore, calore. Il peso della storia ci schiaccia, la potenza della natura ci spiazza, da queste cose se ne esce ridimensionati…

Mi conforta l’idea che Carlo si mostri contento di tutto perché questo girone di sali e scendi da mezzi e viscere della terra l’ho deciso io. Ma forse è il prezzo che deve pagare per aver trasformato un pensiero piccolo piccolo in un tarlo che si è scavato un cunicolo lungo da Milano a Napoli. Lui non lo guarda, io sì, lui non sta dentro le sue storie, io sì, lui mi ha aizzato, e io no. Ricorrono ormai quasi 15 anni da che una rottura del telecomando determinò la mia, per fortuna unica, fiction-dipendenza. Avute le necessarie informazioni (peraltro non cercate) per raggiungerlo, diventa per me imprescindibile una puntata a Riva Fiorita, Villa Volpicelli, insomma, il Palazzo Palladini di Un posto al sole. E così ci ritroviamo a dover raggiungere Posillipo da Pozzuoli. Torniamo alla stazione e ci mettiamo a cercare il treno che ci riporti verso il centro. Cercare, perché qui o lo sai o non lo sai dove passa il tuo treno. I cartelloni cartacei risalgono ad altri tempi, quelli luminosi non ti illuminano sulla strada da prendere, restano solo i pendolari, che avranno maturato l’esperienza sulle proprie ossa. Scendiamo a Mergellina e, dopo aver chiesto a varie persone, una signora mi fa un sorriso complice, ma volete andare a Palazzo Palladini, no? e mi dà tutte le indicazioni. Si salta sull’autobus (letteralmente, visto che si era fermato con la scritta Fuori servizio e poi decide di ripartire dopo aver cambiato l’indicazione praticamente di nascosto). Si sale a Posillipo con ampie vedute di mare alla nostra sinistra, e poi si scende, giù dall’autobus e giù dalla lunga strada. Finalmente me lo trovo davanti, il set di tante puntate. Al di là del discorso televisivo, il posto è meraviglioso, un molo di sassi bianchi che entra nel mare azzurro intenso, una vista incredibile sul golfo di Napoli, proprio in quell’ora tardopomeridiana in cui la luce calda esalta tutti i colori.

Il ritorno non ci va tanto bene, l’autobus non arriva, le persone in attesa si accumulano e la signora a cui chiedo a che ora passa mi risponde: non c’è un orario. Cioè, dico pensando di non aver capito, quando arriva arriva? Sì, è la risposta. Mi chiedo come facciano ad organizzare la loro vita in questa assenza totale di certezze. La giornata è stata campale, piena di cose ed emozioni e non poteva che finire col tramonto su Mergellina, un fritto misto e… la teatralità di una sciarriatina.

Il Cazzaniga va in Campania

apertura

Ognuno sceglie le mete che meglio crede e quando torna si porta sempre dietro qualcosa.
Io questo viaggio non l’ho veramente scelto, è nato da persone e sembrerebbe che questa circostanza abbia determinato il fatto che persone sono ciò che mi sono portata a casa, un armamentario umano da custodire nella mia vetrinetta mentale di souvenir.
Per cui non dedicherò il post alla descrizione dei luoghi – in fondo, la Costiera amalfitana, Napoli – hanno forse bisogno della milionesima descrizione? quanto alle “gesta” di chi ho incontrato e che in vari modi ha arricchito il mio bagaglietto di avventure turistiche.

L’amico Sabato mi aspetta alla Stazione centrale di Napoli (cercate in Internet Sabato Cuomo, troverete articoli e trailer del film Ageroland, girato ad Agerola, il suo paese, e nella sua tabaccheria, il libro Sono tutto ciò che vedi attraverso i tuoi occhi e altro ancora, mica uno qualunque, insomma). Il primo impatto con usi e costumi partenopei sembra da manuale. Armeggio inutilmente con le cinture di sicurezza, rotte; mi pare di notare che le macchine non usino mai le frecce, che Sabi dia la precedenza quando dovuta è del tutto opinabile. Non è che mi sento veramente a mio agio. Ma perché non le fai aggiustare ’ste cinture? Arriva qualche grugnito di risposta. Alla terza rotonda mi trovo di fronte gli occhi inquieti di un ragazzo in motorino e non riesco a trattenermi: ma perché non dai le precedenze? Qualche altro grugnito. Calcolo che nel giro di 10 minuti mi sono già espressa petulantemente due volte, per cui credo che sia il caso di buttarla sul ridere: sembro il Cazzaniga di Così parlò Bellavista, eh?! L’hai visto? Evidentemente l’ha visto perché attacca a ridere. Si arriva a Castellammare di Stabia per caricare una decina di palloni che vanno ad occupare tutto il sedile dietro. A metà strada verso casa, Sabato manifesta un problema logistico: oh maronna, e mo’ dove la metto mia figlia, che tiene pure la valigia? Se non avessi già conosciuto sua figlia mi sarei spaventata di più. Iole è una deliziosa ragazzina, socievole, intelligente, simpatica e… fortunatamente magrissima. E così si riparte: valigie, palloni e Iole in braccio a me, su per una strada tortuosa di montagna, per di più sotto la pioggia. Iole, come tutti gli adolescenti, non è ancora attrezzata per stimare il rischio: ignorando di avere la testa quasi attaccata al parabrezza, con tutto il suo entusiasmo giovanile racconta al padre del suo viaggio. Io guardo lo strapiombo giù sotto e di entusiasmo ne ho zero al quoto. La scritta sul muro “Maroni infame” mi sconsola ulteriormente, non perché non comprenda il pensiero che ha mosso la mano di chi l’ha scritta ma perché non vorrei che associassero la mia parlata all’infamia. Ma comunque arriviamo sani e salvi. Un cagnolino da marciapiede si alza a dare il benvenuto. – Che bello, di chi è? – Della signora lì (se riporto questa conversazione, un motivo c’è).

cane signora

Mi presenta tutte le persone che a vario titolo stazionano nella tabaccheria e i suoi bellissimi gatti.

Gatti

E mi presenta Silvana, ufficialmente babysitter, in realtà persona a dir poco preziosa, per quello che fa e per la sua gentilezza. Sabi mi informa che la sera saremo ospiti di una festa di compleanno. – Ma come, non li conosco, non ho niente da portargli! – Non c’è problema, gli ho già detto che c’è un’amica di Milano. E infatti sembrano non badare affatto all’imbucata, anzi, persone deliziose, gentili, interessanti. Ho l’onore di sedere accanto all’ex sindaco di Agerola, grande fonte di informazioni per i monumenti e la storia di Napoli. La pizza peperoni e melanzane è buona ma commetto l’“errore” di dire: mi sarebbe piaciuto assaggiare una margherita, perché a me piace sentire il sapore dell’impasto. Detto fatto, senza ascoltare le mie proteste arriva una margherita nel giro di cinque minuti. E be’, è proprio vero, laggiù la pizza è più buona. Turisti inglesi al tavolo accanto fanno un baccano infernale. Non è una novità: i nordici in Italia riescono in dieci giorni a fare più chiasso di quanto facciano in un anno a casa loro. Che dei napoletani dicano “mamma, che casino che fanno” dà l’idea di come i luoghi comuni siano costantemente da rivedere. L’entrata a luci spente della “nostra” torta li elettrizza ulteriormente. Ma prima della torta, accoppiata tipica di Agerola: provolone del monaco e pere pennate, in frutto e in marmellata (pennate perché l’albero diventa così alto da toccare i tetti). Se andate ad Agerola per affrontare i 12 chilometri del Sentiero degli dei, al ritorno fatevi questo piatto e il mondo vi tornerà a sorridere. Me ne vado a letto per la mia prima notte al Sud. Prima di capitolare al sonno, il Cazzaniga ha il tempo di calcolare quanto ha guadagnato: l’ebbrezza di una guida alla Starsky e Hutch, una moltitudine di gente che mi è stata presentata, una festa a scrocco, un formale invito ad utilizzare la piscina dell’albergo quando voglio: Quando volete venire, la piscina è sempre a vostra disposizione. Più formale di chi ti si rivolge col Voi…

Il giorno dopo parto per Amalfi, ma ho prima il tempo di notare che ad Agerola i cani stazionano nelle piazze, davanti ai negozi e ai bar, liberi. La cosa lì per lì mi infastidisce perché penso a brutte storie di randagismo, ma poi li guardo meglio. Sono belli, ben tenuti, non temono la gente. Non sono cani randagi, sono semplicemente cani con una loro vita sociale.

Cane di Agerola

Ed eccomi ad Amalfi, la città che conoscono tutti nel mondo. E infatti lì pare esserci il mondo. Mi sembra di essere l’unica turista italiana.

duomo di amalfi

Il duomo è bellissimo, due targhe dedicate a Ibsen e Wagner testimoniano l’internazionalità di Amalfi. Ma quanta gente. La mia orsaggine mi fa dirottare verso gli imbarchi, alla ricerca di un po’ di spazio. Macché, tutti vogliono andare dappertutto, proprio come me. Parto alla volta della Grotta dello Smeraldo. Aspetto il mio turno per poter salire sulla barca che naviga l’interno della grotta. Il signore che aiuta le persone a salire a bordo mi chiede da dove vengo. Da Milano. Non so cosa scatti nella sua mente, fatto sta che si mette a urlare nel mezzo della grotta, con tanto di rimbombo ed eco, che c’è una signora di Milano e che bisogna farla salire. Decine di facce di stranieri che non capiscono cosa sia successo si girano verso di me, il barcaiolo torna indietro. Ma no, dico, balbettante di imbarazzo, aspetto. Ma non c’è niente da fare, ed eccomi così a scavalcare i naviganti alla conquista dell’unico posto rimasto. Come è bella questa grotta, che colore strano che ha l’acqua, come vorrei avere una fotocamera più evoluta, ma tutti questi flash non provocheranno dei danni? Riflessioni sullo spettacolo della natura interrotte da quello umano. I barcaioli iniziano a cantare, i russi si sganasciano dalle risate e incitano a passare a Volare. E si passa a Volare. Sto tra il divertito e il perplesso. Mi viene in mente un post di Carlo a cui una turista, in sintesi, dice: non fai il buffone, ma che italiano sei? Ed eccomi di nuovo in mare, Amalfi-Positano.

Positano

Ma quanto è bella Positano. Piove, ma per poco, e io trovo un posto sulla spiaggia dove cacciare i piedi in una sabbia mista ghiaia, finalmente in solitudine. Alla sera conosco Marinella, la moglie di Sabato, che mi ha aperto casa sua senza nemmeno conoscermi. Ed ecco che qui torna il cane della signora. Dico: ah, ma quel cane è fuori anche di sera? Mi ha detto Sabi che è della signora che abita lì. Marinella attacca a ridere: Sì, ma non ti ha detto che la signora è morta. Eggià, penso, conoscendo Sabatì, per lui era un dettaglio trascurabile. Il cane deve aver astutamente sgamato che fingersi triste e derelitto è un eccellente sistema di sopravvivenza: infatti è lievemente obeso.

I giorni a seguire sono il moto perpetuo di chi ha poco tempo e tante cose da vedere. Salgo e scendo da pullman che percorrono la costiera tortuosa e trafficata e da battelli che fanno avanti e indietro con il loro carico di inglesi, russi, asiatici eccetera. A Sorrento riesco finalmente ad intercettare due italiani a cui chiedere informazioni. Mi coinvolgono in una conversazione amichevole e lunghissima, di cui riporto solo due concetti: che nel Sud ci sarebbe bisogno di donne di Milano, organizzate e indipendenti, e che uno dei due signori, quando non ha la stampella, è il sindaco di Sorrento. Non riesco a vedere un reale conflitto tra l’avere una stampella ed esercitare una funzione pubblica ma mi sembra inutile sollevare questioni. Sorrento è molto più grande e meno pittoresca degli altri paesi della costiera. Mi avevano avvertito che forse era meglio dirottare su Ravello ma con tutto il bagaglio di canzoni su Sorrento mi sarebbe rimasto qua non averla vista.
Torno alla tabaccheria di Sabi e gli riporto orgogliosa di aver conosciuto il sindaco di Sorrento, ma quando gli dico della stampella mi risponde che quello non può essere il sindaco. La stessa cosa dice il ristoratore alla sera (il suo ristorante è in un paese che si chiama Furore, ma lui di furioso non ha proprio nulla, anzi. Uno che accetta di far da mangiare solo per te dopo le 10 di sera mi sembra fin troppo ragionevole). Insomma, il problema sembra essere che uno stampellato non può fare il sindaco. Parte la caccia in Internet e si svela il mistero: il sindaco di Sorrento è più giovane e non è portatore di ausili ortopedici. Quei due sorrentini probabilmente mi hanno preso in giro su tutto, ma fa niente, erano troppo simpatici per star lì a guardare il pelo nell’uovo.

Ed ecco che arriva il giorno della grande Napoli. Giungo con quasi un’ora di anticipo, non perché sia partita prima ma perché, come mi informa una ragazza sul pullman, gli orari riportati sono approssimativi. Cazzaniga avrebbe da ridire anche su questo ma poi gli vengono in mente una serie di manchevolezze nei trasporti su nel profondo Nord e pensa che non vi è più bel tacere. Napoli è il punto di incontro per conoscere Carlo Crescitelli/l’antiviaggiatore, che mi ha concesso così tanto del suo tempo in questo blog e si è immediatamente mostrato disponibile a concedermene altro non appena gli ho detto che sarei andata in Campania. Quando ho visto i suoi video ho provato una simpatia immediata per Carlo, che non è mai venuta meno neanche dopo, negli scambi di mail e nella lettura dei suoi reportage di viaggio. Così come per sua moglie Giuliana, che avevo visto immersa in lunga meditazione su un menu in un video girato in Francia. Siamo fortunati quando il caso mette sulla nostra strada delle belle persone, io sono stata fortunata. Questo è il loro pupazzetto di benvenuto, come mi hanno fatto notare, riunisce i simboli di Napoli.

Pulcinella

Hanno passato i giorni precedenti a discutere l’itinerario migliore da farmi fare, considerando il poco tempo a disposizione. Io faccio la parte del barbaro bestione, ammettendo candidamente che la mia formazione culturale sulla città proviene unicamente dalla fiction Un posto al sole. I colti discendenti della Magna Grecia non battono ciglio. La prima tappa è la chiesa del Gesù nuovo. Qui Carlo attira l’attenzione sul bugnato della facciata e sulla leggenda che vuole vi siano incisi dei simboli esoterici. Ci mettiamo tutte e tre a guardare le pietrone sporgenti e, caspita, è vero, ci sono dei simboli incisi! Ma nessuno di noi ha sufficienti conoscenze di esoterismo. Il percorso continua con il monastero di Santa Chiara

Santa Chiara

e il Cristo velato nella Cappella di San Severo. Il chiostro di Santa Chiara, ricoperto dalle ceramiche di Vietri, è meraviglioso. Il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino è ipnotico e commovente, si potrebbe guardarlo per ore.

Usciti dall’arte si entra nella città, a Spaccanapoli.

Spaccanapoli

Resto a parlare con Carlo sotto fasci di pasta e verdure appese, mentre Giuliana entra in una gioielleria. Poco prima mi ha raccontato che il cornetto portafortuna perché svolga appieno la sua funzione uno non se lo deve comprare, o lo ruba (!) o qualcuno glielo deve regalare. Esce dal negozio e mi porge una scatolina. Contiene un cornetto di corallo rosso. Ma quanto può essere amabile una persona che pensa a un gesto così carino?
Si prosegue nell’itinerario e mi faccio l’idea che la coppia Crescitelli si divide i compiti di guide turistiche: a Carlo la storia e l’arte, a Giuliana il cibo. Insieme non sbagliano un colpo. Caffè e paste, piazza del Plebiscito, Maschio Angioino, galleria Umberto I, Castel dell’Ovo, Mergellina, pizza. Foto col Vesuvio alle spalle.

Carlo e Giuliana

Mi vengono in aiuto anche con le sfogliatelle. Ho ricevuto l’ordine di portarle da Napoli e le ricce ok, quelle le riconosco perché le abbiamo anche noi, ma le altre come si chiamano?! Frolle, ecco, appunto, quelle lisce si chiamano frolle. Pasticceria elegante e aroma di dolci, Carlo si gratifica con un limoncello. Arte, cibo e chiacchiere, ma chi ha detto vedi Napoli e poi muori?!

Sul pullman del ritorno,

ritorno da napoli

con il mio paccozzo tiepido di sfogliatelle, ripenso alla giornata. La città è bella, bellissima ma bellissime sono state queste due persone. Non c’è stato un posto di cui Carlo non conoscesse gli aspetti storici e artistici ma è il suo stile di narrazione a rendere tutto più coinvolgente, per non parlare di come ha organizzato un itinerario breve ma ricco dentro a una città che ha così tanto da mostrare. Da dovunque mi stiate leggendo, se volete andare a Napoli cercate Carlo e fatevi guidare da lui!

La sera ancora una cena pagata, ancora persone simpatiche: il papà ostenta una maglietta del Che che testimonia una vita gloriosa quasi quanto quella del Comandante (anche lui, mica una persona qualunque, cercate Flavio Pagano, ha scritto un libro con Cecchi Paone), una mamma emigrata “al contrario” dal Veneto a Napoli, e un bambino con una gran voglia di raccontare. I bambini e gli adolescenti di Agerola non sono mai ingrugniti, non pensano che tutti gli adulti siano dei vecchi rimbambiti.
La mia breve vacanza si conclude con Capri. Le immagini spiegano più delle parole.

Capri

Ormai sono stanca, avrei bisogno di fermarmi un po’ ma come si fa, non vado ad Anacapri? E allora facciamola questa coda per prendere il bus che va su, guardando con malinconia la spiaggetta e il mare lì vicino. Ma chi me lo fa fare? Io vado e mi sbatto lì. No, tu vai su. Il solito dibattito interiore del turista ingordo.

Capri2

E arriva il giorno del ritorno. Sabato trova un mezzo, almeno per me, atipico: un trasportatore di mozzarelle. Alle 5 del mattino salgo sul furgone, in tre davanti e le valigie dietro, insieme alle mozzarelle. Noto quasi con rammarico che alla mia esperienza di trasporti manca un tragitto in tre sul motorino senza casco (e vabbuò, ja, sarà per la prossima volta, mi dico). La sera prima avevo assistito alla calata del cestello dalla finestra. Ma lo fate veramente! mi scappa da dire tutta felice. Perché, voi come fate? chiede seria Iole. Be’, sai, io abito al settimo piano, sarebbe un po’ dura… Iole capisce il problema ma non cosa abbia mai trovato di strano in un cestello calato dalla finestra. È che mi viene in mente Totò, e il Cazzaniga, e i De Filippo e allora ho un’illuminazione: Napoli come New York, ti sembra di stare dentro a un film.
E al mio racconto del viaggio con le mozzarelle, Carlo mi dedica la canzone di Tony Tammaro – Il mozzarellista.

Credo di aver capito. Ogni luogo apre porte diverse per entrare e restare nei tuoi ricordi. Questi posti sono belli, come si potrebbe mai dire il contrario, ma la moltitudine di gente e di negozi li rende un po’ artificiali per essere la mia dimensione ideale, che è quella della natura, degli spazi aperti e degli animali. Però, in quale altro posto ho mai trovato un siffatto paesaggio umano? Questa è stata la porta che la Campania ha aperto per conquistare il Cazzaniga.

Grazie a Sabi, Marinella, Silvana, Iole, Biagio e Antonio per la loro ospitalità. A tutti gli amici di Sabi, compreso il signore delle mozzarelle. A Carlo e a Giuliana: anche se dicono che ad Avellino piove sempre, loro hanno il sole dentro. E grazie anche a quel signore anziano che ha sfidato gli ostacoli della sua incalcolabile età per accompagnarmi al laboratorio di babà al limoncello.