Post… referendum

Genova Petroliodi Elena Colombo e Carlo Crescitelli

Il referendum sulle trivellazioni è fallito. Come una triste coincidenza, la sera del 17 aprile il flop sembrava voler essere sottolineato da quella lunga striscia nera che dalle alture di Genova è scesa quasi a mare, invadendo il torrente Polcevera, facendo bruciare occhi e polmoni, invischiando animali e pesci. Petrolio sputato fuori dal tubo di una raffineria.
Il vero fallimento però siamo noi, sempre pronti a lagnarsi ma mai a prendersi una responsabilità. Una consultazione è poter dire la nostra, qualunque essa sia, soprattutto perché negli ultimi anni le occasioni per farlo paiono poche. Io quindi toglierei il quorum perché è la partecipazione che deve vincere. Se non hai voglia di pensare, di informarti, di decidere, ti arrangi: lo faccio io e tu ti prendi quello che voglio io, che sia Sì o No.
È passato più di un mese, il discorso potrebbe essere ormai archiviato, anche perché la memoria è corta e macina notizie velocemente. Così Carlo e io, che tanto ne abbiamo parlato prima, ci siamo chiesti se fosse il caso di farlo un post… post-referendum. E abbiamo deciso di sì, perché non si può dire altrettanto archiviata la prossima Genova, che succederà, da qualche altra parte ma succederà. E parlando parlando ci sono venute sotto gli occhi le immagini terribili della devastazione che colpì una terra che già allora era nei nostri pensieri e che anni dopo avremmo conosciuto e amato proprio per la sua natura incontaminata: le Shetland. Nel 1993 la petroliera Braer affondò a causa di una collisione riversando in mare e sulle coste migliaia di litri di petrolio. Fu un disastro ambientale da cui sembrarono non potersi più riprendere. Il nostro “inviato” dalle Shetland Robert Leask, interpellato, ci risponde che tutti hanno avuto un cospicuo risarcimento: i contadini per i campi, chi per le case distrutte, i pescatori per una mancata pesca di otto anni. Non sono andati in pari: hanno avuto più di quanto hanno perso! E nei giorni prima del referendum le notizie non si fermano: la Bp è condannata a un risarcimento di 20 miliardi di dollari per i danni causati nel 2010 nel Golfo del Messico. E noi italiani sembriamo tutti movimentati, no questo no quello, non da me, non vicino a me. Robbie conclude il suo report molto pragmaticamente, come conviene a uno scozzese: «Chiuderò la lettera con questa immagine: sì, ottenere petrolio dal mare, come nel Mare del Nord o nell’Atlantico, è un lavoro pericoloso, ma è ben più pericoloso attraversare o guidare in discesa su una strada trafficata. E per quanto le piattaforme in terra o in mare siano lontane, che le vediamo o meno, è necessario chiedersi: ho un’auto e voglio usarla? Voglio viaggiare molto lontano, come ci arrivo? Con l’autobus, in treno, in macchina, in aereo o in nave? Comunque ci vuole il petrolio. Forse è meglio che stia lontano, magari davanti alla porta di qualcun altro, ma comunque ce n’è bisogno.»
E su questo ha anche ragione, ma sai che c’è Carlo? gli sibilo al telefono, è che il loro Stato li ama e li protegge e loro lo sanno, come tutti quelli che stanno nei Paesi del Nord (a distanza di anni ho ancora sotto gli occhi la faccia stupita di un nordico visto in Tv: perché non dovrei fidarmi? Se il governo dice che è sicura lo sarà senz’altro), al nostro invece gli stiamo proprio sul gozzo e sarebbero ancora loro ad avanzarne da noi, ecco perché non ci fidiamo e ci viene l’orticaria quando parlano di grandi opere.                                                                                                             Elena

Io invece non so se alla fine mi piacerebbe un referendum senza quorum, non so se vorrei essere interpellato su questo e su quello correndo in continuazione il rischio di una risoluzione del problema falsata dalla temporanea forza di un movimento di opinione o di una lobby. Come non so se mi piacerebbe per davvero una democrazia che si scaricasse delle proprie responsabilità delegandole al popolo in forma decontestualizzata. Come nel caso dei prossimi appuntamenti referendari per l’approvazione delle riforme costituzionali, dici? Appunto.
Quello che so è che ormai il futuro non può che essere delle singole comunità, che devono trovare in se stesse la forza di tracciare le linee del proprio domani. Altrimenti gli succederà quello che è successo a Genova. Dove la comunità non c’è più perché il territorio non c’è più perché la cultura locale non c’era più e nessuno aveva voglia di ripristinarla, presi come erano e sono dalle fallaci lusinghe dello sviluppo globale. E questo purtroppo è il risultato, lì come in gran parte del vostro Nord. Dove ancora non riesco a capire perché non costruiate una volta buona gli argini ai fiumi, o forse lo capisco, non c’è più lo spazio, il tempo e il modo per farlo. Una volta uno di voi mi ha detto: “Fate bene, a difenderlo, il vostro territorio, almeno voi che ce l’avete ancora, perché noi l’abbiamo svenduto da un pezzo”. E aveva proprio ragione: noi al Sud un territorio che abbia un suo senso, per quanto disastrato e negletto possa essere, ce l’abbiamo ancora, ed è per questo che non ci vogliamo le trivelle. Perché le trivelle, come prima le discariche e come adesso le pale eoliche, sono il magro compenso della svendita che ci chiedono, quella della nostra identità alle vaghezze del controverso e incerto sviluppo economico, secondo strategie delle quali un domani presto o tardi ci saremo dimenticati. Come quando volevano industrializzarci dappertutto così di botto da un anno all’altro, e ne paghiamo ancora le conseguenze oggi, di quel disastroso progetto. Allora, a noi tutti sembrava una ottima idea: oggi, ci chiedete come abbiamo mai potuto permetterlo. Permetterlo? Ma noi ne eravamo addirittura entusiasti… ed è un ipocrita chi finge di averlo dimenticato. E sai che ti dico, Elena, a questo punto? Che, guardando con gli occhi di oggi e ragionando con la mente di oggi, abbiamo sbagliato pure con il referendum sul nucleare. Ma anche quella sembrò una buona idea. Se mi fido di Stato e governo, dici? Ma certo che no, mi sento come in una riserva indiana, come in un altipiano tibetano dove sei rimasto per decenni a sbrigartela da solo nel bene e nel male, epperò poi un bel giorno arriva qualcuno a dirti che loro ti portano lo sviluppo e tu hai una idea abbastanza chiara che sono venuti poco più che a romperti le scatole e basta, ma intanto che fare? Il nativo sei tu, e di startene per i fatti tuoi qui non se parla più, ormai la frittata è fatta. Come in 1984 di George Orwell, è la loro neolingua che ti insidia, quando ti dicono: ma se non qui allora dove? Sei il solito not in my back yard, lo vedi? Ma invece sei tu che devi farmelo, un piano e un progetto dentro e fuori il mio backyard, eh ma mica la solita fregatura a chi tocca tocca, un piano vero, voglio dire, come nei paesi del Nord Europa dove la gente si fida dei loro governi, perché sono quelli che gli danno ragione di fidarsi.
                                                                                                                                   Carlo