Procida, bella e perigliosa

Il mio viaggio inizia testando la concorrenza: un’offerta vantaggiosissima mi porterà a Napoli con Italo. Classe Smart, very smart, ma con cinema. Proiettano Benvenuti al Sud, mi sembra la scelta più ovvia e spero al ritorno in Benvenuti al Nord, visto che li ho mancati entrambi, aspettativa delusa. Napoli alle 20.30 è stranamente a traffico scorrevole, cosa che pagherò in termini di terrore puro sul taxi lanciato a tutta birra sulle strade che mi porteranno all’albergo. Quando penso che la mia vacanza finirà ancora prima di iniziare, mi trovo invece scaricata in corso Umberto I («che poi tradotto sarebbe: n’goppa ’o rettifil, vasc ei quatt palazz, nnanz a Miezzcannon, n’t può sbaglià», spiegazione partenopea dell’indirizzo riportatami da Carlo). Dei due enormi portoni ne sono aperte solamente piccole frazioni, così che varcarli con valigia e zaino si rivela operazione più complessa di quanto ci si possa immaginare. Un ascensore a vista mi porta tra cigolii al quinto piano. Nel lento tragitto mi vengono in mente quei film in cui uno sta acquattato dentro e va su e giù cercando di sfuggire al serial killer che lo insegue per le scale. Dopo cena faccio un giretto attorno alla piazza, un ragazzo si sta applicando con zelo a picchiare contro il marciapiede un’asse del wc, lo scopo è di smontarla ma non capisco se vuole divellere le cerniere dall’asse o viceversa. Il balconcino della stanza mi offre la vista delle colline di Napoli illuminate, da una parte, e dall’altra un angolo di totale oscurità che è il mare. La mattina dopo trovo ad aspettarmi l’Antiviaggiatore, che con rodata conoscenza geografica e storica mi conduce nei vicoli di Napoli fino al Duomo,Duomo Napoliche custodisce la Cappella del tesoro di San Gennaro, e poi ancora via, per Spaccanapoli fin dentro una bottega di presepi artigianali. Strade e stradette e si ritorna al porto dei traghetti. In uno dei bar, Carlo farà la celestiale conoscenza di una provola di bufala affumicata. Si mangerà anche la mia ché, forse avvezza ad altri sapori, non riesco proprio a gradire. Se c’è una cosa di cui sono contenta è che quando calo come un barbaro a scompigliare le loro vite, involontariamente faccio scoprire qualcosa anche a loro, come se li ripagassi di tanta disponibilità nei miei confronti. Ed eccomi in mezzo al mare, con quello stato d’animo che ormai conosco bene, ansia per l’imprevisto ed euforia da viaggio, perché ormai niente mi dà più gioia che andarmene.

Un’ora dopo, la prima immagine di Procida, come la ricordavo, con i suoi colori consumati e il viavai di persone e mezzi. Un altro tassista, un altro viaggio ancora più folle del primo, attraverso strade minuscole, pedoni e muri che recano i segni dei tanti autisti non abbastanza bravi come il mio a prendere le misure al millimetro. Gli albergatori si premurano di dire che la camera è vista mare, li sentirò comunicarlo ogni volta ad altri ospiti, forse per mitigare col panorama le magagne della stanza. Ma chi se ne importa, in fondo, il mare sta lì. Scendo la via di lastroni e mi autocongratulo per non aver messo le infradito ma i sandali con una robusta suola antiscivolo. La spiaggia di sabbia quasi nera, di origine vulcanica, è lunga e sgombra di ammassi umani. I faraglioni ammaliano e il mare chiama.

Procida Faraglioni 1Distrattamente registro un uomo che sta a parecchi metri dalla riva, pur con l’acqua ancora sotto le ginocchia. Ma sono plasmata sul mar ligure ed entro guardinga, aspettandomi in un niente l’acqua dalle caviglie al mento. Macché, qui hai voglia a camminare! Non so se esiste uno spettacolo più sconcertante di un milanese da ufficio al suo primo bagno della stagione. Bianco, molle e incriccato vive il triste senso di inadeguatezza nel trovarsi così, all’improvviso, ad affrontare la natura e contemporaneamente si dà a scomposte manifestazioni di gioia, sì che dobbiamo assomigliare molto a degli animali liberati da qualche gabbia. Finito l’imbarazzante rito, mi guardo intorno con riacquistata razionalità. Studio i faraglioni, li sfioro con reverenza,

Procida Faraglioni 2mi perdo negli strati delle rocce sopra la spiaggia, anche l’occhio non esperto capisce che racchiudono la storia della Terra.

Procida rocceUna reginella mi riporta all’infanzia. Sono sulla spiaggia di Chiaiolella, per quanto vedrò in seguito, sicuramente la più bella.

Chiaiolella SpiaggiaLa mattina seguente mi avvio verso Terra Murata. Procida la bella si è già palesata, ora conoscerò anche il suo volto periglioso. Non è il lastricato sconnesso, le salite faticose, le discese da fare di traverso, sono le macchine, gli scooter, le bici elettriche, gli autobus, i taxi che riempiendo le vie minuscole dell’isola rendono le camminate pericolose. Così che per fare pochi metri ci metti un sacco di tempo, perché se vuoi vivere devi ora rintanarti nei rientri, ora appiccicarti ai muri come una lucertola, e spesso rimpiangi di non poterli risalire come loro. Questo è l’unico aspetto negativo di Procida, a cui non ci si abitua.

Case Procida 1Case Procida 2

Terra Murata 100_4027Terra Murata 100_4028

Terra Murata è una zona su cui sorgono l’abbazia di San Michele, una bella chiesetta,

Terra Murata altareil Belvedere dei due cannoni, l’ex carcere borbonico e la Casa-Museo di Graziella.

Terra Murata panoramaTerra MurataGraziella è la protagonista dell’omonimo romanzo di Alphonse de Lamartine, qui naufragato nel 1811.

Graziella pietra

Graziella testa

Museo Casa Graziella 100_4036Museo Casa Graziella 100_4037Museo Casa Graziella 100_4040L’allestimento delle stanze con oggetti, mobili e vestiti d’epoca è davvero molto bello.

Museo Casa Graziella 100_4033Museo Casa Graziella 100_4035Museo Casa Graziella 100_4034

Museo Casa Graziella 100_4042Museo Casa Graziella 100_4043Niente è realmente appartenuto all’eroina di De Lamartine, se non l’area su cui sorge la casa, che dalla descrizione dei luoghi fatta nel romanzo si è quasi certi sia questa. Prima di introdurvi nelle stanze, le giovani guide vi inviteranno a salire sulla terrazza per ammirare il paesaggio.

100_4032100_4031Museo Casa Graziella 100_4046E prima ancora, vale la pena fermarsi nel minuscolo ma interessantissimo Museo geologico e affidarsi alla spiegazione delle ragazze che lo gestiscono. Qui si possono vedere alcuni oggetti, copie degli originali custoditi alla Federico II di Napoli, fatte a mano e con materiali d’epoca, di quelli rinvenuti sui fondali di Vivara, un tempo promontorio dell’isola ora separata dal bradisismo negativo che agisce da secoli su Procida, di origine vulcanica con ben cinque crateri.

Museo geologico ProcidaVivara, che è riserva naturale e marina e ospita un centro di biologia marina, in realtà sarebbe ancora collegata. Esiste infatti un ponte, chiuso però da anni per questioni di contenziosi e burocrazia. Come a dire che se la geologia ha il bradisismo negativo, gli uomini hanno il bradipismo, ovviamente ancor più negativo.Nei giorni seguenti mi avventurerò ancora per l’isola

Procida 100_4051vedrò la spiaggia di Pozzo Vecchio o altrimenti detta del Postino (dall’ultimo film girato qui da Massimo Troisi), di sassi e molto meno bella di Chiaiolella. Mi inerpicherò verso Solchiaro, la passeggiata migliore perché qui il traffico è ridotto al minimo, dai muri delle case esplodono i colori dei limoni e dei fiori e il paesaggio è splendido.

Solchiaro Procida 100_4057Solchiaro Procida 100_4060Solchiaro Procida 100_4062Solchiaro Procida 100_4065Solchiaro Procida 100_4066Solchiaro Procida 100_4069Solchiaro Procida 100_4072E naturalmente tornerò a Marina Corricella,

Corricella 100_4017dove pescatori, gatti e cani si dividono in pace la poca ombra.

Corricella 100_4090Tra montagne di reti, barche, case colorate incastrate fra loro come quelle dei presepi, sembra quasi di vivere in un’altra epoca, eppure nello stesso tempo è così autentico, nessuna mano ha artatamente allestito il borgo ad uso turistico. Corricella di giorno è accesa di sole e colori, di sera di luci, gente ai tavoli attorniati di gatti e musica.

Corricella 100_4092I gatti sono una costante dell’isola. Questo è stato una sera il mio commensale:

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I procidani sono affabili, sempre ben disposti verso il prossimo. A volte capita, sembra che ce ne sia uno più schivo, in realtà è solo un approcciarsi più lento ma poi la conversazione scatta, placida ma inarrestabile. Ho appreso da loro che una delle professioni più comuni è il marittimo. Gente che se ne sta mesi per mare e dopo tanti anni torna e investe il guadagno nell’isola, ma questo succedeva di più anni fa. E che devono capire da che parte andare, se avvicinarsi alla più turistica sorella maggiore Ischia (ammirata e forse un po’ invidiata) o mantenere la loro identità. «Tenete la vostra identità» è sempre stata la mia risposta, perché questi sono i posti migliori del mondo, altrimenti il mondo diventa tutto uguale. Non mi hanno mai risposto esplicitamente sì o no, però mi hanno sempre sorriso come quando uno ti dice qualcosa di bello.

Il lunedì, con mio immenso piacere Giuliana e Carlo approdano all’isola. Giuliana mi guarda sconsolata mentre lui elenca i motivi per cui non gli piace il mare, quello nostro naturalmente, visto che lui è avvezzo a solcare i burrascosi mari del Nord. Quasi all’improvviso però si getta in acqua, affrontando le grosse onde che da qualche giorno non si chetano, lasciandoci a guardarlo piene di ansia. Quando ormai stiamo quasi pensando di andarlo a prendere, si decide a tornare a terra avvisando che ora non potremo dire che non ha fatto la sua parte al mare. La sua presenza in spiaggia comunque non si protrae per molto, ha avuto l’incarico di comprare i famosi limoni di Procida. Questo è quello che si dice accattammo ’a frutta, mi spiega Giuliana trascinando il sacchetto pieno di limoni giganti. Temono che per qualche legge protezionista locale non potranno portare gli agognati frutti fuori dal suolo procidano, ma li vedrò imbarcare i frutti proibiti indisturbati. Sarà piuttosto il tassista di Napoli a dar loro problemi: per una qualche misteriosa ragione i limoni non potranno trovare posto sul sedile.

Tra mare e sole i giorni passano tranquilli, tranne che per le incursioni telefoniche di Sabato che decide che l’ultimo giorno lo passerò ad Agerola. Disdice l’albergo, mi dà le dritte su pullman e orari, mi riempie la testa di frazioni di Agerola. Il pullman a Napoli parte da Varco Immacolatella. Chiaiolella, Corricella, Immacolatella, e tutti così finiscono i nomi qui? E lui ride. Che poi, medito lungo la discesa alla spiaggia, Usmate, Velate, Carnate, ognuno c’ha i suoi. Mi attardo al tramonto, l’ora più bella e quella in cui su ogni mare del mondo scendono i gabbiani in cerca di resti.

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Mi attardo perché è l’ultima sera e separarsi dal mare è come perdere un pezzo d’anima. Monterosso, Genova, Sumbrugh, Edimburgo, Brest… come i gabbiani ho sempre avuto la mia ora, di congedo, di blu, di occhi lucidi

100_4113L’aliscafo è in ritardo di 10 minuti, ce la faccio ad arrivare all’Immacolatella entro le 14.30? E saran domande da fare a un tassista di Napoli? Carlo e Giuliana avevano calcolato 15/20 minuti, questo ce ne mette cinque perché probabilmente delle rotonde o altri giri obbligati a lui poco importa.
Agerola ormai è anche Biscotto. Digli per favore di non andare a Positano finché non arrivo, avevo detto a Sabi al telefono. Ed eccolo lì, a ronfare dietro al banco della tabaccheria.

BiscottoNo, non ci va più a Positano perché sul Sentiero degli dei fa troppo caldo ormai, mi spiega Antonio. Di notte va in giro qua in zona e quindi di giorno è stanco morto. Lo vedrò tornare con un pezzo di pane. Una volta è tornato con una salsiccia, mi informa, rubata? Donata? Mah… Insomma, prima dei reciproci racconti umani su come stiamo e non stiamo, il mitico cane prende il sopravvento.

Biscotto 2Dalla camera della stanza entra già l’aria fresca che ricordo bene. Da Milano giungono notizie di caldo insopportabile. La sera si va a mangiare a Furore (“il paese che non c’è”, così viene definito, perché se ne sta sparso un po’ qua un po’ là). Sabato si lamenta che la mia porzione di spigola è più grande della sua. Il dolce sì, è più grande il mio, ma solo perché è una cosa diversa, ma Sabato ritiene di averne abbastanza dell’onta e si lamenta con l’amico ristoratore. Anche la spigola?, chiede lui. La prossima volta la misurerò col goniometro. Per consolarsi, si scola due bicchierini di finocchietto selvatico lasciato a macerare nella vodka. E i tornanti? Chiedo. Se c’è una cosa che ricordo con terrore è proprio la strada di Agerola. Non c’è problema, dicono insieme lui e l’amico, Sabi sa guidare. Il nulla nero sotto, illuminato solo in un punto da una lampara, è il mare, tutto intorno le luci della Costiera e più in alto quelle dei paesi di montagna. Alle 23 il freddo d’altura vince sull’aria tiepida di mare. È tempo di rientrare, domani sarà Milano.

Ancora una volta, il mio grazie agli amici campani, che lascio sempre con tanta nostalgia.

Procida, l’isola dei destini incrociati

Nel mio itinerario avevo incluso Ischia ma, poi, mi accorgo che tra Napoli e Ischia c’è Procida. A volte nel viaggiatore si attiva una specie di calamita e decide che la sua vita non sarà più la stessa se non riuscirà a incontrare il metallo che l’ha attivata. Un focus group della famiglia Crescitelli, compreso il giovane Lorenzo che pragmaticamente chiude la discussione con: «Ma quando ci andiamo?», stabilisce che Procida è meno turistica di Ischia e quindi probabilmente più caratteristica. Giungo alla stessa conclusione con il metodo empirico di ricerca immagini su Google. Ischia capitola definitivamente alla sua sorella minore. Ma l’isola diventa anche crocevia di occasioni: per me e Sabato di vederci, per sua figlia Iole di passare il giorno libero da scuola in modo diverso, per Carlo come esplorazione per un eventuale weekend fuori porta. È così che una decisione random presa a Milano incrocia due campani che non si conoscevano in un posto che non conoscevano.

L’organizzazione del viaggio inizia in stile Sabato Cuomo: contorni incerti e variabili. Inizialmente ci propone un traghetto ad un’ora per me e Carlo antelucana. Rigettata fermamente l’alba tragica, ci ritroveremo a bighellonare per Procida in attesa di Sabato, che arriverà con due traghetti dopo quello proposto. La prima impressione appena approdati è quella di case sgarrupate (abbisognanti di una mano di intonaco e di una ripitturata, ndr. Questo termine, per la sua fulminea sintesi, è già entrato nel mio vocabolario extrapadano); il traffico, viste le strade strette, appare caotico e poco rispettoso, anche se i veicoli che circolano non sono ovviamente molti. Ma è brutto sentire assordanti motorini e odore di fumi di scarico in un posto di mare.

Finalmente arrivano Iole e Sabato e l’incontro è epico: manifesteremo il nostro entusiasmo scattandoci una serie di foto con tutte le varianti umane ma con il medesimo sfondo, finché non avanzo l’ipotesi di schiodarci da quel muretto per trovare nuovi set. E qui si presenta il problema: nessuno di noi conosce Procida e nessuno di noi si è preso il disturbo di procurarsi una mappa ma, soprattutto, in tutti noi alberga un allegro desiderio di prendercela comoda. È Sabato a prendere in mano la situazione mettendosi a contrattare con un tassista e inscenando un siparietto che rimpiango moltissimo di aver perso. Il risultato della trattativa è che ci ritroviamo su un taxi, un mezzo di trasporto di incerta data di immatricolazione guidato da un furibondo ometto che solo Sabato riesce a tenere a bada, con uno stile di guida da Camel Trophy. Le manovre diplomatiche del dottor Cuomo mi provocano un eccesso di ilarità tale che mi si riempiono gli occhi di lacrime, così che intravedo appena muri troppo vicini e pedoni terrorizzati. Ma iracondia e imprudenza vengono ripagate da un angolo spettacolare di isola, Marina Corricella, fatto solo di mare, barche e reti di pescatori. Ed è sempre Sabato che decide quale ristorante scegliere: l’unico che non ha cercato di buttarci dentro. Passeremo così il resto della giornata tra cibo, chiacchiere, sole, gatti, gabbiani (insolitamente grossi come quelli scozzesi, notiamo io e Carlo). Non devo passarci molto tempo per capire che cosa mi affascina tanto di Procida (che tra l’altro è stata il set de Il postino): è un luogo vero, non attrezzato ad uso e consumo dei turisti, per nulla affollato. Mi viene in mente il confronto con la bellezza un po’ artificiale di Capri e non ho alcun dubbio: Procida è il posto più bello tra tutti quelli che ho visto in zona. Durante il viaggio di ritorno devo essere sembrata come quello là che chiamavano vasa vasa, tanto era il mio entusiasmo per tutti e tutto.