Venezia e le contraddizioni

Venezia

Sono stata a Venezia in tempi remoti, per il Carnevale. Quando arrivammo in una Santa Lucia straripante folla, la prima cosa che vidi era una persona di Milano. Mi venne da ridere: il mondo non sempre è così grande. Le maschere erano bellissime. Non ho mai più rivisto costumi così. Arrivammo in piazza San Marco e lì ci perdemmo. Anzi, mi persi. Mi fermai a fare una foto. Lo confesso a distanza di tre decenni: forse lo feci volutamente, forse ci sarebbe stata la possibilità di mettersi in un piccolo spazio e aspettare. Invece gettai la spugna troppo presto e mi defilai in una calle. Ho un ricordo di Venezia di una bellezza che non saprei definire, con sotteso qualcosa di contenuto, come se la gioia non potesse esplodere nemmeno in quell’occasione. Insieme a due mute e struggenti maschere, l’altra immagine che rimane in me la trovai in questa calle: un bambino sul triciclo che si lanciava giù da una discesa che terminava proprio a ridosso di un canale. La nonna attenta ma non ansiosa, il bimbo che frenava con i piedi giusto in tempo. Scene che ho rivisto in altri luoghi. I bimbetti di Livigno impavidi sui loro minuscoli sci e senza racchette. Il piccolino di Bagolino che ancora malsicuro sulle gambette sfida la pendenza fatta di sassi. I ragazzini di Genova che si tuffano dallo spuntone non abbastanza in mezzo al mare per poter essere definito sicuro. E io che li guardo, tra l’impulso di fermarli e ammirazione. Piccoli d’uomo che imparano a vivere nei loro habitat. Non sono più tornata a Venezia. La ritrovai anni dopo riflessa nella lucida seta di sontuosi tessuti di un’azienda sul Canal Grande, colori vividi e disegni antichi ma sempre buoni perché senza tempo. E dopo altri anni ancora nei sogni realizzati o non dei newyorchesi. Sorridevano quando sentivano che ero italiana e mi parlavano di Venezia. Avrei voluto dire che c’era altro in Italia ma Venezia era nei loro occhi e allora tacevo. Magari tra le altre immagini avevano anche quelle di Like a virgin. E io tra le altre di New York avevo quelle di Papa don’t preach. Eravamo pari.

Venezia non la puoi ignorare, anche se non ci vai. Così la vedi nei reportage dedicati alla sua decadenza, alle botteghe storiche che muoiono, ai maestri vetrai che chiudono. Nelle navi da crociera che la sovrastano sprezzanti e nelle vicende del Mose: i mostri della laguna. Nei turisti che la sfregiano con comportamenti animaleschi. E ultimo in ordine di tempo, il bell’articolo di Tiziano Scarpa “Noi veneziani? Non stiamo serenissimi” (7, 22/2/2018). I veneziani se ne vanno in massa e non sono i turisti a poter perpetuare l’identità di una città, Venezia muore. Anche lui menziona il turismo low cost. Avevo già letto il pensiero di un economista in merito: l’elettrodomestico può essere low cost, Roma no. Se servisse a salvare le bellezze naturali e artistiche del mondo, si potrebbe anche trattenere la smorfia di disgusto e accodarsi a questo pensiero retrogrado che le cose belle devono essere fruibili solo dai ricchi. Ma guardiamo in faccia la realtà: le nostre città non sono a buon mercato e il turismo è fatto per buona parte di gente coi soldi. Quindi lasciamo perdere questa idea che signori si può anche diventarlo, più che di low cost si dovrebbe parlare di turismo low burini density. Il turismo uccide Venezia ma come potrebbe vivere Venezia senza turismo? Chiudiamo le paninerie, solo ristoranti di lusso, oppure no. Togliamo i b&b e lasciamo solo gli hotel tipo il Danieli, oppure no. Togliamo i negozi di paccottiglie (che tanto sui tv a schermo piatto la gondola non ci sta) e lasciamo solo artigianato di alto livello, oppure no. La gente non cerca più la cultura a Venezia, facciamo eventi culturali. Tutto insieme sembra una gran contraddizione e risposte precise non ce ne sono. E sarà un caso eclatante per quanto è strana Venezia ma non è l’unica in Italia che si dibatte in queste contraddizioni. Ma queste morti non sono mai improvvise, partono sempre da lontano, e noi più che medici in prima linea sembriamo quelli che prendono la seggiolina e si mettono a pregare vicino al malato, sempre ad aspettare un miracolo.

Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare, 
la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti, 
che cercano in mezzo alla gente l’Europa o l’Oriente, 
che guardano alzarsi alla sera il fumo – o la rabbia – di Porto Marghera…
Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare, però non ti puoi risvegliare con l’acqua alla gola e un dolore a livello del mare…
(Venezia, Francesco Guccini, 1981)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *