Torino regale e illuminata

Torino, come Milano, per troppi anni è stata vista come una città solo di industria e affari. Ma, considerando soprattutto la gran quantità di persone che l’affollavano tra dicembre e gennaio, sembra stia recuperando il tempo perso per rivelarsi al viaggiatore in tutto il suo splendore.

Quando si passeggia quasi senza meta (o con la meta fissa in testa di dolci e cioccolato), la bellezza dell’antico erompe dai negozi e dai locali rimasti intatti con i loro stucchi, lampadari di cristallo e vecchie insegne ridondanti e dalle eleganti gallerie. La storia la fanno i regal nomi delle vie, principesse, madame e re, e i monumenti.

Ma le mete ci sono, sono tante, abbastanza da dover fare delle scelte. I musei ti trattengono nelle loro meraviglie e all’uscita, all’imbrunire, le luci della città si accendono.

I Musei Reali Torino sono tra i complessi più grandi che abbia mai visitato. Comprende Palazzo reale, Armeria reale, Galleria sabauda, Cappella della Sindone, Museo di antichità, Biblioteca reale, Giardini reali (ad accesso libero).

Una visita di almeno tre ore, pur tralasciando alcune parti solo per stanchezza fisica, o forse più, perché il senso dello scorrere del tempo si perde tra stucchi, ori, mobili, affreschi, quadri. Imperdibile l’Armeria reale, già dalla soglia un colpo d’occhio impressionante.

Ricchissima la collezione di armature e armi.

Tre riflessioni:
1) Gli uomini che indossavano quelle armature avevano il corpo come quello dei bambini dei nostri giorni.

2) Riesco a innamorarmi anche di un cavallo finto.


3) Questa armatura apparteneva a un antenato con lo stesso nome di quello che oggi va in tv a ballare sotto le stelle… ma pur sempre meglio ballare che fare la guerra.La grande sorpresa di questo museo è stata scoprire l’esistenza di un’altra Venere di Botticelli, che fa parte della Collezione Gualino, davvero notevole per numero e valore delle opere.

Ecce homo, Guercino; Casolari, Gaspard de Witte; Gesù benedicente, Bartolomeo Cincani detto Montagna.

In questo museo si può andare senza prenotazione (contrariamente al Museo Egizio) e senza dover fare un’estenuante coda se non si è prenotato (contrariamente al Museo del cinema), e questo è un punto a suo favore.

Essendo un’amante di storia del cinema, avevo riposto molte aspettative sul Museo nazionale del cinema. Come tutti i musei, ha i suoi picchi di bellezza, in primis la vista della Mole Antonelliana dall’interno, in alcuni oggetti come le lanterne magiche o la sceneggiatura di Psycho, ma nell’insieme è abbastanza deludente. Sicuramente da bocciare l’ora di coda che avrei dovuto replicare all’uscita per prendere l’ascensore per salire sulla cima della Mole, che comunque non aveva più posti liberi.

Il Museo di antropologia criminale Cesare Lombroso è un luogo di riflessione. Tra teschi, strumenti di misurazione, armi del delitto, scheletri di detenuti e scheletro del Lombroso, donato per sua stessa volontà, si legge il cammino della scienza fatto di scoperte, fallimenti e teorie strampalate se non addirittura pericolose. Ad esempio, Lombroso non si è fatto scrupolo di condurre esperimenti per dimostrare a tutti i costi che la pellagra fosse dovuta alla muffa del grano, ma quella che davvero mi è sembrata strampalata è la teoria dell’atavismo. Cesare Lombroso era però un uomo attento al prossimo e, da rimarcare vista l’epoca, alle donne. Gli studi aprono comunque strade nuove e sono fatti da esseri umani, con tutto ciò che questo comporta. Singolare il fatto che a un certo punto della sua vita fatta di scienza, evidenze e ragionamenti ceda allo spiritismo dopo l’incontro con la medium Eusapia Palladino (o anche Paladino).

Bagliori natalizi e qualche lampo di mestizia

Stillante di nebbia e stanchezza da rush finale lavorativo prima di un po’ di quiete di giorni festivi, mi lascio trasportare da un bus che tra frenate e accelerate si districa tra il caos isterico di chi pensa che il Natale imminente sia una sorta di terza guerra mondiale. Guardo fuori dal finestrino, un lavavetri vestito da Babbo Natale attende che la fila si fermi nuovamente. Mi chiedo se esiste Babbo Natale nel luogo da cui proviene, se ha imparato che in questi giorni ci si veste così nel corso di lunghi anni passati sotto i semafori o se invece l’ha appreso da poco, se qualcuno glielo ha detto, se si domanda chi sia Babbo Natale e se ha voglia di tornare nel suo paese senza pancioni vestiti di rosso. Con qualche altro sconquassamento il bus riesce ad attraversare l’incrocio, un’altra coda e un altro questuante, questa volta un giocoliere che impavido si esibisce davanti a una fila di macchine, schierate così mi paiono una spaventevole pole position. Non faccio in tempo a dimenticare questi strani connubi che la sera vedo qualcosa di ben più triste. Venditori di souvenir con cappello rosso davanti alla basilica di Betlemme.

È sconcertante ricevere degli auguri così brutti, se poi comprensivi di errore proprio in quello che ti augurano potresti anche metterti a piangere.

Se invece intendevi augurarmi di trovare un Goya in solaio, allora grazie grazie mille volte grazie.

Per fortuna la luce arriva, anche il cibo porta luce, che diamine, se poi ha il nome pseudoesotico di lifferia è ancora più intensa. Cito dal sito di Pizzikotto: Liffo dal dialetto reggiano è tutto ciò che è Goloso e Gustoso. Ok, benvenuti a Milano.

Ah Milano, la fortuna di trovarla vuota e di riconciliarsi con essa. E chi c’è in giro la sera della vigilia? Quelli senza famiglia, dice. Seee, Oliver Twist, rispondo. E giù a ridere, che in questa deliziosa assenza di rumore sembra quasi faccia eco. Ci piantiamo nel mezzo della via Marghera e ci prendiamo tutto il tempo per l’inquadratura di qua, la prova luce di là… e quando mai ti ricapita?

Euforia da vuoto e da foto ci trascina in centro. E la macchina dove la metti? Qui, e ci metto sopra il biglietto Guasta. Ma scherzi? No, non vorrai che ci perdiamo questo spettacolo? Certo che no. Via Dante,

via dei Mercanti,

piazza del Duomo, e quella coda è per la messa? Naturalmente, chi vuoi che stia in coda con sto freddo alle 11 di sera? E poi non sono giapponesi. Corso Vittorio Emanuele che deve sempre strafare, anche in pacchianeria talvolta.

San Babila, lì con lo smartphone puntato ad aspettare che l’albero ridiventi azzurro.

E sotto la Galleria. Una famiglia c’è e il maschio si rifiuta di fare la foto alle vetrine di Prada. La spunta la madre Alfa, spalleggiata dal resto della famiglia. Usciamo in piazza della Scala e un orrore si erge davanti ai nostri occhi. Un paio di monoliti neri con delle luci rosse piantati davanti a Palazzo Marino. Madonna quanto è brutto diciamo all’unisono, pure la famiglia che si è accodata. Eh, ma è proprio vero che se cambi prospettiva cambi anche idea.

A Natale ti fermi, tranne le mandibole si intende. Niente stupidaggini, niente pensieri, niente meditazioni. Ogni energia dedicata al rifornimento e allo smaltimento. Ah, ma a Santo Stefano torni libero. E Bohemian Rhapsody fu. Il film parte come un’autobiografia un poco piatta. Inizi a notare la lotta dell’attore con i denti finti che devono riprodurre i quattro incisivi di Freddie Mercury. Dopo un po’ questo dissidio dà anche fastidio a dire la verità, ma mai quanto i miei vicini anzianotti ma stupidotti come degli adolescenti. I gatti sono gli animali preferiti dai gay e dalle donne single, hai mai visto una donna single col cane? dice lui. L’uomo single ha il cane, la donna no. Mi verrebbe voglia di girarmi e dirgli: non la puoi vedere perché il cane va portato fuori e se sei da solo e lavori non puoi avere un cane, testa di uovo che non sei altro, e adesso chiudi quella ciabatta e guarda il film. Macchè, bisogna anche fare l’urletto perché Freddie Mercury bacia un uomo (era gay, vedi tu, chiudi la ciabatta), il commento perché l’attore non è alto come Freddie Mercury (vedi in giro tanti uomini col fisico di Freddie Mercury? Chiudi la ciabatta). Ma poi il film esplode, o meglio, è la musica a farlo esplodere, fino alla fine, e con tutte le balordaggini che ho dovuto sentire mi merito di mettermi a cantare inside my heart is breaking, my make-up may be flaking, but my smile still stays on-ooohhh-on… e se do fastidio a qualcuno spostatevi più in là.

Il tram 16 è pieno di allegre famiglie che vanno allo stadio, bambini che non stanno più nella pelle. San Siro scoppia di urla, gli scatto un paio di foto, pur così avvolto nella nebbia, per mandarle a Sabi. Dida: Visto che non sei qua… E forza Napoli! Sono interista per tradizione, ma per rompere l’ormai decennale trio di vincitrici Inter-Milan-Juventus tifo per qualunque altra squadra, figurati per quella di un amico. Sabi ha la coperta, un bicchiere di vino e la torta di Silvana, io rido sotto la mia di coperta, sto cercando di togliermi dalle ossa il gelo dell’attesa che qualcosa passasse per San Siro e, milanese, tifo per il Napoli. Ma questi siamo noi, che non c’entriamo con la furia insensata che si è scatenata in questa partita. Avrebbero dovuto riempire le birrerie di Milano, ne hanno riempito gli ospedali.

Il Natale fa anche rimbalzare le persone come palline in un flipper. Perugia- Savigliano-Torino Milano-Torino, Game over in piazza San Carlo il 28 dicembre.

Questa è la quarta o quinta volta che vengo a Torino, stavolta però il castello finto lo voglio vedere. È lui che l’ha chiamato castello finto, perché c’è andato in gita alle elementari e quindi è rimasto a quell’idea lì. Si arriva camminando lungo il Po del Parco del Valentino, appena velato da un’affascinante nebbiolina,

e tra un guizzare veloce di scoiattoli grigi che si concedono solo a chi ha qualcosa da dar loro in cambio.

Che il castello sia finto lo si vede a colpo d’occhio, tranne un muro che sembrerebbe avere un suo passato.

Ad ogni modo non è un castello e basta, è un borgo, e non si chiama castello finto bensì Borgo medievale. E anche se non così antica, ha comunque una sua storia da vantare: https://www.guidatorino.com/borgo-medievale-torino/

Nessuno può battere i torinesi sul cioccolato. Che siano tavolette, cioccolatini e che altre forme solide o che sia cioccolata in forma liquida. Un livello di densità perfetto, perfetto il grado di zuccherosità, solo quel tanto che basta a mitigare l’amaro del cacao, e il gusto, il retrogusto, gli annessi e connessi. Ma-gi-strale.
Bella gente, begli scoiattoli, belle vie. Bella zio, città in cui tornare.

Bella invidiosa, esibizione del 29 dicembre

Andar su per Superga

Inizi a vederla da lontano. Di qui le cime alte e bianche, di là le colline di Torino. Ma è quando superi l’ultima curva che appare come la scena d’apertura di un film, o un sipario che si alza di colpo sul palcoscenico. Appare all’improvviso e imponente, perché sorge ancora un poco più in alto della strada. In realtà non è enorme, ma sovrasta.

Superga 1Un gatto nero se ne sta dietro alle panchine occupate dalle persone, amabile e pur così superGamente felino, indifferente al panorama che gli sta alle spalle, più interessato a presidiare l’accesso alla basilica.

Gatto SupergaSeicentosettantadue metri sopra il livello del mare, non molti ma abbastanza per sentire l’aria fredda, molto più fredda di quella della pianura. Monti bianchi a semicerchio, Torino sotto e sentieri intorno.

SupergaSuperga ConventoA Superga si visitano la basilica, le Reali tombe dei Savoia, gli Appartamenti reali e poi c’è la salita alla cupola. Le reali tombe e gli appartamenti si fanno solo con visita guidata, bellissimo per chi le ama, pessimo per chi ne è anarchicamente refrattario. In ogni caso, 45+45 = 90 minuti di freddo intenso, quello delle cripte, quello degli appartamenti. Vietatissimo ovunque fare le foto. Mi parte un flash senza volerlo

Superga Scalonee sono l’unica ripresa in mezzo a tutti gli altri che scattano centinaia di foto di nascosto. Balbetto “un mi scusi, non pensavo che anche la scala…”, lasciamo perdere, questa malasorte da Paperino me la porto dietro fin dai tempi della scuola. Le cripte sono veramente belle. Marmi, ori, statue soavi e commoventi o severe, ricami intessuti nella pietra, sono questi che mi fermo a guardare e riguardare cercando di coglierne il segreto. Vorrei tanto fargli una foto, senza flash naturalmente, ma il Maestro dalla penna rossa, lì, mi tiene d’occhio, perdendosi così l’altra trentina di furbetti. La maestosità che veste il misero destino che ci accomuna tutti non mi impedisce di pensare ai neoborbonici di cui sono venuta di recente a conoscenza: tanti Savoia morti farebbero la loro letizia, probabilmente. Il Maestro riporta la mia mente all’ordine con una storia tanto avvincente quanto poco cristiana e sicuramente per nulla adatta a un santo. Nella seconda metà del 1800 viene emanata la legge sulla soppressione di alcuni ordini religiosi. Don Bosco dirà ai Savoia che ciò non porterà bene alla loro famiglia. Il risultato è che in quella stanza, tra le altre tombe, quattro, tra cui quelle di due bimbetti, sono state occupate nello stesso anno dopo che queste parole vennero pronunciate. Pare la chiamino profezia, io la chiamerei in un altro modo.

In queste cripte si trova anche Vittorio Amedeo II, a cui si deve l’invenzione dei grissini. Da piccolo non poteva digerire la mollica del pane, così il medico di corte chiese al cuoco di poter rimediare in qualche modo. Tira la pasta, tirala ancora, ed ecco i grissini, buoni anche più del pane.

Pochissimi minuti di aria, un’occhiata al chiostro

Superga Chiostroe poi via, si riprende con gli appartamenti. Le stanze non sono molte e di non molto pregio. Bei quadri, bei mobili, ma non eccezionali. Interessante ritrovare anche qui, come nel duomo di Avellino, il più economico legno lavorato a mo’ di marmo. Non so come facessero, ma se non ci fosse qualcuno a dirlo o se non si appoggiasse la mano trovando con sorpresa un certo calore anziché il freddo della pietra, davvero non ci si accorgerebbe della differenza.
Nell’ultima stanza il gelo si intensifica appena varcata la porta. Chi è più fantasioso e non imputa la causa a mere logiche tecniche tipo la mancata esposizione al sole o che altro, può immaginare che sia il soffio ghiacciato di un fantasma sabaudo che ti passa accanto, fiero e seccato di quell’intrusione di visitatori che battono i piedi per ritrovare un po’ di sensibilità, giusto quel poco che basta a reggersi ancora in posizione eretta. Io vacillo, ma anche il Maestro dalla penna rossa cede sotto una domanda inaspettata: come mai le porte sono fatte così? Sembra balbettare come me prima davanti allo scalone, pare voler ribattere: ma che saran domande da fare queste? Invece imbastisce seduta stante una spiegazione. Sbagliata, signor Maestro. Potrei innescare una diatriba tra penne rosse, anche io lavoro col rosso, sa? E sa che i suoi colleghi hanno dato un’altra risposta, più plausibile, alla stessa domanda? Piccola vendetta lombarda contro il savoiardo senza zucchero. Ma no, queste persone (e spero proprio non siano volontari come hanno detto) sono davvero brave.
Visita finita, mi giro verso la stanza e chissà che qualche Vittorio Emanuele o Francesco non abbia ricambiato il mio saluto.

Il tempo rimasto è poco, verrebbe voglia di godersi questo imbrunire dall’alto,

Torino Serafermarsi a guardare il grande fiume che intesse la città, ma si deve volare su alla cupola. 131 scalini, se ricordo bene, che si rincorrono stretti in una chiocciola sempre più stretta, volare si fa per dire dunque, ché anche a un piccione verrebbe un gran giramento di testa. Belli i campanili quasi a portata di mano.

Superga CampanileBelle le montagne che permettono di vedere ancora un po’ di neve bianca nel cielo già quasi del tutto nero. Bella Torino giù sotto con le sue luci, anche quelle che affiancano il Po che ormai non si vede più, quasi come una pista aerea.

Torino da SupergaSuperga PiazzaleSuperga Notte

La regal Torino

Gli italiani sono stati fatti, è l’Italia che è sempre un po’ fuori fuoco. O, se vogliamo buttarla sul misto prêt-à-porter, come una che esce con l’abito da sera e le ciabatte scalcagnate. Fischio d’inizio del post in onore di Camillo Benso e del suo suolo natio. Già, perché se una di Milano parte alla volta di Torino per incontrare uno che abita a Perugia che però è piemontese, e la di lui consorte della Sardegna, allora non vi è alcun dubbio: gli italiani ci sono. Ma è l’esordio del breve viaggio (e figuriamoci se fosse stato lungo) che lascia un po’ perplessi.

Murder to the cathedrals into the desert
Decido di partire da Rho-Fiera Milano (se lo cercate sul sito di Trenitalia mettete quel trattino lì o avvaletevi del completamento automatico, perché altrimenti vi dirà: La stazione di partenza non è valida. Quando lo Stato capirà di affidare i propri siti a qualche ingegnoso ragazzino che riuscirebbe a fare tanto meglio?). Non esistono biglietterie con esseri umani, quindi mi fermo alle uniche due macchinette che, in prima battuta, mi elencano Milano, Magenta, Novara e qualcos’altro. Allora pigio su “Altre destinazioni” e inizio T-O-R… ce ne pas possible… Torino non c’è. Mi esce Torre de’ Picenardi (attacco a ridere in me stessa). Solo chi conosce la Bassa può sapere che è un paesino minuscolo sperso in mezzo ai campi cremonesi. Mi verrebbe voglia di proseguire per vedere come arrivarci, visto che è già tanto che esista una diligenza che porta a Cremona città. Insomma, la macchinetta di una stazione dove ferma il treno per Torino non contempla l’opzione Torino. Un signore me lo conferma: ci sono solo i biglietti per la Lombardia. Controconferma dall’addetto dell’Atm: i biglietti si fanno sul treno. Peccato queste ciabatte in una stazione che sembra un abito da sera: veramente ben attrezzata per chi ha difficoltà a muoversi o per chi ha le valigie. E io ho la mia conferma: Rho-Fiera quando non ci sono le fiere è una cattedrale nel deserto. Ci avevo già provato ad andare a vedere la Vela di Massimiliano Fuksas ma quando non c’è un’esposizione il sottopassaggio è chiuso e il piazzale sopra è deserto e inquietante. Abbiamo voluto l’archistar per poi lasciarla languire sei mesi all’anno. Che poi nel corso della giornata io ho maldestramente confuso con Renzo Piano, che invece ha magistralmente rifatto la zona vivissima del Porto Antico di Genova.

In treno ripenso alla macchinetta Trenord, al signore dei biglietti della Lombardia e ho un mezzo sussulto: ma Novara è in Piemonte! E Trenord allora cosa copre, fin quanto si addentra tra un confine e l’altro? E quei biglietti della metropolitana che vanno bene solo per Rho-Fiera e per qualche parte dentro Milano ma nessuno sa fin dove, e che se uno arriva da Sesto San Giovanni gli tocca di scendere e andare a timbrare un altro biglietto? Gesù, questa Italia s’ha da fare.
Ma finalmente arrivo nel Regno Sabaudo.

Gli amici: o gli spacchi la faccia o li sopporti così come sono
«Cosa vuoi andare a vedere?»
«Intanto che c’è il sole, il Valentino. Deve esserci un ponte e il fiume Po, l’ho visto in televisione.»
«Mamma, il tuo immaginario forgiato dalla televisione», risposta spocchiosa da intellettuale d’assalto di dhr.Mica vero, il Valentino del mio immaginario è stato forgiato da Piemontesina bella, il resto delle immagini televisive è solo un di più.
Meno male che Paola è persona più gentile e aggraziata.
Si va al Valentino. La triviale sottoscritta, con occhio arguto, fa notare al sapientone che l’edificio che si erge su una collina deve essere un convento. Il sapientone consulta la mappa: è un convento francescano. Fine della diatriba su chi si è forgiato su cosa.
Consiglio sulla Torino da leggere: La bella estate, raccolta di tre romanzi brevi di Cesare Pavese.

Ma io sono a Torino anche per vedere le installazioni di luci e quindi devo aspettare il calar delle tenebre. Conquisto il centro e subito vedo che è una bella città e che ha quel qualcosa che io adoro e che Milano ha ormai quasi interamente perso: i negozi antichi, nelle insegne e negli arredi interni. Tanti sono pasticcerie. A distanza di molti anni mi torna alla memoria un aneddoto narratomi da una signora di Torino. Suo padre voleva fare un dolce in cui era necessario il cioccolato olandese. Girò tutte le cioccolaterie del centro chiedendo autentico cioccolato olandese. Riuscì a far inalberare tutti i pasticceri di Torino. Ora riesco a comprendere appieno il significato della storia.

Da Natale le giornate si allungano un passo di gallo, dice il proverbio. Il buio non scende ancora e intanto che lo aspetto a me il cioccolato torinese mi va benissimo: entro in una bella pasticceria in piazza San Carlo. Ha un aspetto elegante ma non credo che esista una città che riesca a svuotarti il portafoglio più di Milano, quindi mi siedo e me la goda tutta questa cioccolata paradisiaca. La panna viene servita in una ciotolina a parte, non sopra la cioccolata. In tre secondi mi trovo già d’accordo con loro: te la puoi centellinare, metterla ora nella cioccolata ora sulla briochina, ora ne prendi di più, ora di meno. Arguti questi Savoia.
C’è un colore del cielo che amo più di qualunque altro: quello dell’imbrunire di una giornata di sole invernale.

Ed è ora di cercare la Mole. Ho con me una specie di piantina ma trovo più comodo testare la disponibilità e capacità di dare indicazioni dei torinesi. La disponibilità è pari alla nostra ma la loro perizia di navigatori umani è decisamente superiore: non mi hanno fatto perdere nemmeno una volta. Mi sono persa io. Arrivo su un vialone splendido, mi volto e vedo delle luci rosse, di quelle che servono a non far schiantare gli aerei. Non presto molta attenzione, penso solo: teste di legno, piazzare un ripetitore rovinando questo skyline così ordinato. Ma proseguo finché penso che sto andando troppo oltre, quel posto lì non mi sa più di Mole. Faccio dietrofront ed è lei, la Mole Antonelliana, miseramente scambiata per un ripetitore. Non mi resta che “correrle dietro”, senza però poter prima ignorare dei grissini torinesi che si affacciano dalla vetrina. Camminare e camminare, perdersi volutamente, vedere il più possibile, mangiare: è il turismo stay hungry, stay foolish.

Anche Torino è un gioiello italiano. Forse dobbiamo sopportare le ciabatte, forse dobbiamo vederle come un tocco di originalità che spezza la monotonia di una bellezza troppo perfetta.

C’è chi aspetta Godot e chi E.T.
Ritoccata ad hoc per il Rivarossa, sperando che gli alieni siano più buoni di quanto li disegni lui.

ufo

Seconda edizione del Concorso letterario “Michele Lessona”

lessona

Il Museo regionale di Scienze naturali di Torino ha bandito la nuova edizione del Concorso letterario “Michele Lessona”.
Il concorso si divide nelle sezioni Racconti e Saggi, con una sottosezione per la parte Racconti dedicata agli studenti delle scuole primarie e secondarie.
Si può partecipare con un breve racconto o saggio sulle tematiche naturalistiche:

1. Esplorazioni vicine e lontane nel mondo naturale
2. Emergenze zoologiche e botaniche in un pianeta minacciato
3. Strategie di sopravvivenza di animali e piante
4. Racconti al microscopio

Non ci sono limiti di età per la partecipazione, l’elaborato deve essere inedito (anche per il web), di circa 10.000 caratteri, in formato Word/Open Office. La data di scadenza per l’invio dei racconti è il 15 giugno 2013. Si possono inviare fino a un massimo di due racconti o saggi, la proclamazione dei vincitori è prevista per il 31 ottobre 2013.
Per informazioni e per il bando completo del concorso, i recapiti sono:
Tel. 011/432.63.39; www.mrsntorino.it
[email protected]; tel. 011/432.63.39