El purtava i scarp de tennis

Assisto attonita agli eventi che sconvolgono il mondo. Non mi riferisco alla crisi economica, alla pandemia o alle guerre, argomenti che richiedono una certa competenza, ma alla notizia degli assembramenti creatisi per comprare delle scarpe da tennis. Non chiedetemi di chiamare sneakers delle scarpe da tennis perché va oltre la mia capacità di sopportazione. Non ditemi che gli zoccoli sono dei sabot perché gli zoccoli sono zoccoli e i sabot sono quelli della Lorraine. Questo continuo discredito della lingua italiana mi disturba vieppiù.

Trovavo già difficile comprendere perché un essere umano dovrebbe accamparsi una notte intera fuori da un negozio per arrivare primo a comprare uno smartphone o un pezzo di abbigliamento firmato. Però cercavo di farmene una ragione: non siamo tutti uguali e il meccanismo che fa scattare il desiderio è variabile e misterioso. E poi questi oggetti avevano un loro perché, molto costosi ma soprattutto con una certa estetica. E le ultime notizie che mi sono giunte circa gli accampamenti risalgono all’epoca in cui non c’era alcun problema a stare uno addosso all’altro, magari anche ad azzuffarsi come nei bei tempi andati ci si incornava per un pezzo di carne intorno al fuoco.
Ma queste scarpe sono di una bruttezza impressionante. Non solo, costano pochi euro, per cui non possono assolutamente essere fatte in materiali di qualità, e certamente sono fatte in qualche paese del terzo mondo che gli allegri imprenditori avranno fatto diventare del quarto. Pare che ci si accalchi non solo per averle ma anche per comprarle e poi rivenderle a prezzi esorbitanti sul web, come fossero la chitarra presa a mazzate di Jimi Hendrix. Una notizia che già di per sé mi aveva gettato nello sconforto perché è difficile dover prendere atto che i propri simili rischiano di propagare il contagio per delle scarpe, è dura immaginarsi questa fila di giovani senza il senso del bello accompagnati da un nutrito numero di genitori pronti a rivendicare senza se e senza ma il diritto al raggiungimento del cesto scarpifero, detto anche diritto alla felicità. Quando un politico dice «facciamo appello al senso di responsabilità dei cittadini» dovrebbe aggiungere l’emoticon che si copre la faccia.

Con un po’ di fatica sono riuscita a capire che i negazionisti riconducono tutto a un complotto che passa sotto il nome di Reset. Fossi in loro non mi preoccuperei più di tanto, ci stiamo già resettando da soli, c’è solo da chiedersi se poi arriverà una mano pietosa a ricaricarci qualche programma o se resteremo così, vuoti come delle zucche.

Ma queste sono solo quisquilie in confronto a ciò che mi ha veramente sconvolto: queste scarpe sono tedesche. Avrei dovuto sospettare che solo un tedesco può concepire tale ripugnante accozzaglia di colori ma sono stata fuorviata dal fatto che in materia di moda i teutonici non sono mai stati presi in considerazione, anzi, per decenni sono stati indicati proprio come modello su ciò che NON si doveva fare in termini di abbigliamento. Che degli italiani si in-filino in situazioni di questo tipo a vantaggio di gente che va in giro coi sandali e le calze gialle coi risvolti azzurri mi rattrista profondamente.

E visto che oggi c’è anche un po’ di scighera, andrò a consolarmi con i bei tempi andati:

El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
rincorreva già da tempo un bel sogno d’amore.
El purtava i scarp de tennis, el g’aveva du occ de bun
l’era il prim a mena via, perché l’era un barbon.

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