Uscir scapigliati dal romanzo di Iginio Ugo Tarchetti

«La parola – questa pittura del pensiero – non sa ritrarre che le passioni comuni e convenzionali; rende i profili, ma non ha né le luci, né le ombre, non sa mostrare né
le profondità, né le salienze; le grandi gioie e i grandi dolori non li sa dire.»

Ebbene, aprirò così, dicendo che Iginio Ugo Tarchetti si è sottovalutato. Fosca è un romanzo che coglie l’essenza delle ombre, create da poche luci in verità, e forse per questo ancora più profonde. Sono le ombre che celano il tormento dei pensieri e l’emotività con cui il protagonista vive ogni cosa, dalla semplice osservazione di ciò che lo circonda fino al consumarsi di due passioni antitetiche ma entrambe vissute fino allo stremo. Fosca è un romanzo potente perché nato da una capacità di scrittura di altissimo livello e perché coinvolge il lettore ora attirandolo ora respingendolo con le stesse ondate di sensazioni che l’autore sperimenta in quel momento.
I sentimenti sono totalizzanti fino a indurre alla malattia, ci sono concetti come l’onore, il dovere, il sacrificio; lo stile è quello dell’epoca (1869): un insieme che potrebbe portare noi moderni a definirle esagerazioni e magari farci anche un po’ sorridere. Se non fosse che se ti fermi a riflettere vedi che certe cose non si sono ancora del tutto risolte, come la questione femminile, l’importanza dell’aspetto esteriore, e altre che, invece, per fortuna segnano il progresso, come quello della medicina. E comunque se ti è venuto da sorridere, la pianti anche subito quando ti ritrovi portato in giro in una stanza, tra lumi spenti e accesi, in preda a continui impulsi uguali e contrari, in un abbraccio di morte, di repulsione e attrazione, di una felicità di poche ore che si è disposti a pagare con la vita, e perdersi dentro a una scrittura così ci vuole un niente.
Da Fosca è stato tratto il film di Ettore Scola Passione d’amore, che purtroppo sembra sparito dalla programmazione televisiva.

I milanesi rileggeranno un’altra volta di come la città fosse piccola e di una campagna vicina vicina e i lombardi si inteneriranno nel vedere come la propria regione abbia ammaliato un piemontese, che per di più nelle prime pagine esterna una grande ostilità per i borghi:

«Le pianure della Lombardia sono serene come il suo cielo, liete e fiorenti come le sue donne; quel cielo è fatto apposta per quelle campagne, non sta bene che lí, con un altro suolo non armonizzerebbe. Non so perché mi piacciano adesso le pianure, a me cui non sono piaciute mai, a me nato e cresciuto tra le montagne. Ma chi non amerebbe i luoghi dove è stato felice e dove lo può essere ancora? La Lombardia è all’Italia ciò che sono le praterie all’America, – gli Elisi, i Campi felici

Si vede che il cielo lombardo ha qualcosa di speciale, gli si può dare torto?

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