2/Mare, cibo, umani

Questa volta è toccato a Pegli vedere il triste figuro appena arrivato che col cuore in subbuglio e le braghe arrotolate saggia la temperatura dell’acqua e la consistenza del terreno, quanta sabbia, quanti sassi. Il giorno dopo sono già più organizzata. E purtroppo anche i miei pensieri si sono organizzati in uno schema più razionale. Perché sì, poter entrare almeno fino alle ginocchia nel mare e prendere il sole è bello. Il problema è che entri nel mare per cercare sollievo dal caldo, ma è ottobre e quindi no, non è normale. Non sono normali le sere a Genova senza il golf. Non è normale, conferma la signora del bar.

Deve esserci stata una mareggiata, grovigli di rami dilavati giacciono sulla spiaggia. Rami contorti che trattengono chili di plastica. Che cosa ti abbiamo fatto? Vorrei poterli liberare e chiedere scusa, ma mentre li guardo mi sembra che dicano: chiedete scusa a voi stessi, perché noi saremo sempre qui, voi, mah…
Mi colpisce un blister come mi avevano colpito delle pile abbandonate in montagna. Cose piccole che stanno in tasca, e mi è impossibile capire perché qualcuno della mia stessa specie abbia un cervello pieno di buchi.

Ma ciao! Resto perplessa: ma non mi dire che mi hai riconosciuto dopo due anni! Ma certo! Piazzetta San Carlo, ristorante dei cinesi che fanno da mangiare esattamente come i liguri perché, ci aveva tenuto a dirlo con l’orata: mio marito ha imparato in un ristorante genovese. Vado lì perché mi piace tutto, le alici marinate, le trofie al pesto, le cozze e i frequentatori che come un fritto sono un misto di lingue e stili. E poi non voglio più rischiare di dover ripiegare sull’Old Wild West.

Arrivano due. Lui sta parlando dei milioni di anni del mesozoico, lei risponde: quindi noi con i nostri 2 mila anni siamo una scorengia (sic). Ah, ok, penso, quindi Gesù è morto per qualcuno che ancora non esisteva e solo dopo suo padre gli ha fatto un parterre di idioti. Se poi scopriamo che le sue parole non sono state esattamente Mio Dio, perché mi hai abbandonato? dovremo accettare la verità.

Pensavo che i terrapiattisti fossero dei semianalfabeti che si erano creati la loro zona di conforto fisica e virtuale: chiusi in casa a chattare solo con chi la pensa come loro e alimentandosi vicendevolmente di segnali e simboli. Ogni numero letto alla rovescia o sommato e moltiplicato per X un orgasmo. E invece ecco lì accanto a me, a mangiare cibo vero, a parlare in buon italiano e a sciorinare dati con una sicurezza da Piero Angela, un essere umano con un cranio in mezzo alle orecchie. Vuole convincere quella dei 2 mila anni che la terra è piatta. Su tutte riporto due prove inconfutabili: il logo dell’Onu, eh, come mai, sul logo la terra è disegnata piatta? E poi come te lo spieghi che non c’è neanche una foto con lo smartphone della terra rotonda ma solo quelle della Nasa? Cerco di distrarmi dal disagio guardandomi intorno, ma al tavolo di fronte c’è uno straniero imbranato che sta facendo scempio degli spaghetti ai frutti di mare: taglia tutto col coltello, spaghetti, gamberetti, finanche le cozze e non ha capito a cosa serve il piatto vuoto che gli hanno messo davanti, e così il suo piatto è un pastone di cibo e scarti triturati. Dal disagio al disgusto. Non ce la posso fare. Alzo lo sguardo ai palazzi secenteschi e alla Madonnina che pietosa ci guarda. Come abbiamo fatto a finire così? chiedo, generalmente, alle vestigia degli antichi padri.

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