Il difficile mondo delle due ruote e dei loro accessori – Post “ad personam”

Al mio amico Dario/Gastone, con affetto, Paperino 

 

snoopy_bikeQuanto sto per raccontare è l’atto finale di una ricerca durata forse un anno tra annunci dell’usato, siti web e siti fisici. Esasperata dai continui lavori per Expo, cerco una bici, pieghevole per esigenze di spazio e non tanto costosa perché le arrubano. A Milano ormai sono richiestissime e di conseguenza i loro prezzi sono schizzati alle stelle, insieme ai furti. Scopro che ciò che ho sempre chiamato bicicletta ha assunto con il passare del tempo una serie di identità che vanno dalle suddivisione più generiche ai veri e propri trade mark: city bike, mountain bike, Btwin, Mtb, Mbk. Stranamente, però, le gloriose Atala e Carnielli sventolano ancora alto il vessillo del prestigio, e del costo. Solo un paio di episodi che possono rendere la situazione. Ritrovandomi a guardare affascinata i sempre più numerosi giovani e meno giovani che salgono in metro con bici compattissima al seguito, vado al Decathlon. Il commesso me ne mostra una. Salgo sulla sella, scomodissima, e mi ritrovo con un manubrio posizionato in modo sproporzionato rispetto alla sella e alla mia sproporzionata figura. Devo stare distesa in avanti, come Fausto Coppi quando si lanciava giù dalla Marmolada. E una volta piegata non è affatto leggera. Le stesse sensazioni le ha la signora che la prova insieme a me: «Ma io pensavo che fosse veramente leggera da trasportare», già, confermo io. Ce ne andiamo entrambe imbronciate. Il secondo: fuori da un negozio ne vedo una col cartello “Occasione, usata pochissimo”. Entro e chiedo: 150 euro. Di solito composta, mi metto a ridere e con la mano faccio il gesto che equivale a: seee, ciao, tu ssii scemo. Da allora, non manca occasione per gongolare dispettosa al fatto che sia ancora lì invenduta.

Poi il giorno arriva, preceduto dal volere del fato: con la coda dell’occhio colgo ciò che mai colsi, giusto perché prima non c’era, un negozio con la magica scritta “Due ruote”. In preda a un focoso desiderio, spintono un paio di persone e salto giù dall’autobus. Entro nel negozio ed eccola, la vedo lì, in mezzo ad altre, a pezzi smontati, motorini, a Nana, il cane del negozio e ai suoi amici di varie misure che vanno avanti e indietro, ma la sua personalità spicca nella folla. Il mio cuore ha un tuffo adolescenziale.

bici50 euro. È mia! Il ragazzo mi guarda strano e io so benissimo cosa sta pensando: a questa potevo chiedergli di più. Ha un problema alla ruota posteriore e con gran dispiacere gliela devo lasciare, ma prima gli do 20 euro di acconto perché ho paura che me la vendano. Non riesco a portarmela a casa prima di tre giorni. Le mie mani si stringono intorno al suo manubrio e l’accompagno a piedi sul primo marciapiede in cui potrò inforcarla senza che mi abbattano ancor prima di avere assaporato la gioia dei pedali. Ora amo anche il suo pacchiano color giallo risotto allo zafferano, che a prima vista mi aveva lasciata perplessa. E poi via, mi ritrovo a cantare ad alta voce, quello che faccio solo in solitaria. Il giorno dopo scopro che la ruota anteriore si è completamente sgonfiata. Ho solo una piccola pompa a mano e ci do dentro di brutto finché le braccia mi dolgono ma ho capito qual è il problema: la valvola sfiata. Mi accascio sul balcone tra la ruota e l’inutile mini-pompa e sento spuntarmi due lacrimoni. Ma che diamine, l’epoca della mia prima bici rossa con rotelle che ancora ricordo fiammante il giorno di Natale portata da Gesù Bambino, quella della cross con sedile lungo giallo e verde chiari, quella della Graziella color glicine con mia madre che mi stava dietro in macchina a insegnarmi la destra e la sinistra, ché ancora adesso per me sono distinzioni opinabili, è passata. È l’epoca del valutare e agire di conseguenza. Torno al Decathlon e cerco una pompa a piede che non costi più della bicicletta. Mi attesto su un prezzo ragionevole e mi sembra ragionevole anche il suo sistema di smontaggio componenti per renderla universale. Sissignori, perché così come la bici non si chiama più bici, la valvola non si chiama più solo valvola. Come ogni cosa, è made in Taiwan e il braccino corto degli asiatici si rivela anche nei disegni istruttivi. Si tratta di smontare 3 componenti: una ghiera, un coso di gomma e una valvolina di plastica e poi di rimontarli in una sequenza atta al gonfiaggio. C’è anche una specie di levetta che dovrebbe servire ad agganciare la pompa alla valvola ma forse serve anche al momento del montaggio, ma questo non riesco a metterlo a fuoco. Ci provo con varie combinazioni, seguendo gli asfittici disegnini, ma la pompa sfiata, la inserisco, ci tiro dentro di braccia ma lei sfiata. Al decimo tentativo il mio balcone assiste un’altra volta alla mia resa. A essere sinceri, è lo sgabellino che di solito uso per arrivare agli scaffali alti ad accogliere le mie ossa doloranti e il mio mesto umore. È il momento della presa di coscienza: quando hai l’esigenza di sederti su un gadreghin ma, soprattutto, quando non comprendi come si monta una pompa per gonfiare una bicicletta sei arrivato al giro di boa. La pensione è lontanissima e ti attendono ancora decine di anni di lavoro, hai ancora voglia di cazzeggiare e ascolti la musica di trent’anni fa ma il dato di fatto è che il mondo ha preso la velocità delle discese di Coppi, delle sue dispute con Bartali, delle fughe di Pantani e del Tour di Nibali tutti insieme. Tristemente ripongo tutti gli attrezzi, pure il gadreghin appoggia-ossa e faccio quello che tutti gli anziani dovrebbero fare: mettersi tranquilli sul divano a guardare la tv. Ma sento quel clic-clac continuo in testa, quello che mi prende quando non riesco a fare qualcosa, quando sembra che ho gettato la spugna ma non è così. E infatti, il giorno dopo piglio il computer, guardo video, analizzo siti e poi afferro per il collo la pompa a piedi, la sghiero, la eviscero da gomma e valvola e dopo un breve e iracondo ragionamento rigiro i due componenti, li ricaccio dentro e rabbiosamente riavvito la ghiera. Non mi sono neanche servita del gadreghin. Sia mai che un aggeggio di Taiwan gliela faccia a un Colombo! Inserisco il foro nella valvola e finalmente… finalmente quel rumore che sa di ok, un sibilo sottilissimo e nient’altro, non l’altro inquietante soffio che ricorda E.R. medici in prima linea. Il flaccidume sparisce al mio darci dentro di braccia e la gomma riacquista la sua forma rotonda. Non resta che portarla a far vedere, ma il più è fatto.

 

13 thoughts on “Il difficile mondo delle due ruote e dei loro accessori – Post “ad personam”

  1. “Annabella”??!! Ai miei tempi si chiamavano “le Graziella”.

    >In preda a un focoso desiderio, spintono un paio di persone e salto giù dall’autobus.
    Voglio il video! Lo voglio!!

    Questo strepitoso reportage di vita urbana moderna non c’è manco bisogno di salvarlo nel Metropolis folder, perché già c’è 😉
    P.S. Ri-provo a cliccare per chiedere le notifiche automatiche dei futuri commenti a questo post. Ammesso che Internet funzioni meglio delle vecchie biciclette, il che è tutto da dimostrare.

    • Credo che il nome passato alla storia sia infatti Graziella. Anche a me ha sorpreso Annabella, ma sempre meglio di Samantha o di Marika 🙂
      Il video? Secondo te io vado in giro ad autofilmarmi?! Che neanche ci ho lo smartphone, poi.
      Quando ti rispondo ti mando un sms, e adesso che ci penso: mi pare che sul tuo blog non ci sia questa funzione e infatti anch’io devo sempre tornare.

      • E meno male che hai mandato l’sms, perché se aspettavamo il puntualissimo messaggio di Altervista…
        Non è un problema specifico del tuo sito: il servizio-chiamami di Altervista fa cilecca anche con il blog di Carlo (da Avellino). Per estrapolazione, sarà defunto ovunque? All’inizio fungeva. Mah.
        Vero, Blogger non offre questa opportunità, però offre una casella in cui si vedono tutti i nuovi post dei siti che si seguono. Lo stesso vale per i siti WordPress.
        Comunque, non mi dispiace se sei “costretta” a tornare 😉

        • Io il tuo l’ho messo anche nei preferiti per avere gli aggiornamenti in tempo reale, ma niente, è tipo la pompa della bici 🙂
          Ci torno, ci torno, non ti preoccupare.
          Carlo lamenta anche lui la mancanza degli avvisi, poi si lamenta con me, quindi lasciamolo stare… visto che non sta qua, è come la storia del can che dorme 🙂

  2. Una magnifica bici da bimba, anche il colore è perfetto, complimenti! Secondo me il marchio “Annabella” è invece una imitazione del più famoso “Graziella” tesa a trarre in inganno l’acquirente modaiolo sì , ma distratto e sprovveduto. Anche la mia bici è una “Atlantica”: vi ricorda qualcosa? La trovai come ultimo esemplare di un negozio di giocattoli che dismetteva questo tipo di articoli, e da allora, ogni volta che la porto nella strafighissima cicloofficina vicino casa per qualche intervento di manutenzione, il gestore mi spiega a rotazione, parlandomi un po’ come si ci rivolge ad un diversamente abile, che ci sono: 1) delle problematiche importanti e pericolose di taratura 2) dei meccanismi di sicurezza obsoleti e/o fuorilegge 3) dei pezzi di ricambio introvabili. E mi mostra uno dei suoi bolidi a caso di quelli da migliaia di euro, invitandomi a fare un giro mentre aspetto la difficile e penosa riparazione, che così finalmente mi renderò conto come è fatta una bici vera e non un pezzo d’antiquariato come la mia. Quando torno dal mio giretto, passa ad enumerarmi i tre o quattro pezzi a sua libera scelta che ha sostituito con della roba meno antidiluviana semplicemente perché non sopportava l’idea di lasciarceli lì, e mi chiede fortunatamente una cifra irrisoria, motivando la piccola spesa con la minaccia “non illuderti che questo catorcio ti duri ancora a lungo, al più presto sarai costretto a comprarla, una nuova, e io sempre qua sto, prima o poi devi cedere”. Io ringrazio e dico che ci penserò, davvero, risalgo sulla mia bici/cyborg che lui con i suoi non richiesti ritocchi ha ormai reso degna del set di Mad Max, dopo di che nun me passa manco pa capa e continuo ad andare avanti così con la mia Atlantic bionica, perché sapete, questo non è un paese per Altervista.

    • 😀 Evvai, mitico!
      Invece io ahimé non vado più in bici da troppo tempo, però fino ai tempi del liceo la mia preferita era la Tamagnone (già pezzo di antiquariato allora, negli anni ’80) di mio padre, che frenava non con il cavetto ma con una serie di aste metalliche collegate tra loro.
      E poi (sussurrando) ancora adesso, il mio cell è un carrarmato della Nokia (shhh)!

      • Vedo che in mia assenza ci avete dato dentro di brutto… Prima di tutto: grazie per i vari ribloggamenti che volete fare. Bici: “una bici da bimba”… mi vuoi prendere in giro?
        Annabella non credo sia un’imitazione, perché da quel che ho capito la Carnielli sta solo un filo sotto l’Atala.
        Dario, non vedi una bici da tempo perché probabilmente Perugia è tutto un su e giù, ci vogliono delle buone gambe e… ehm… freno con una serie di aste metalliche?! Ma le ruote erano di uguali dimensioni o quella davanti era enorme rispetto a quella dietro e ci voleva la scala per montare in sella? 🙂 🙂
        Per l’esperienza accumulata in questo anno, posso dirti, Carlo, di tenerti la tua bici, e mi sorge anche il dubbio che in realtà il tuo meccanico te la smonta per rivendere i pezzi che non si trovano più sul mercato 🙂 (ma poi, scusa, quanti pezzi vuoi che abbia una bici?!). Ora c’è la mania di queste bici ipercostose e ipermeccanizzate ma le domande sono:
        1) dov’è la bellezza della libertà della bici in sé se ti devi rompere le scatole a imparare ad usarla come una macchina?
        2) sono proporzionate all’uso che uno ne fa, cioè, ti fai le vacanze di km in bici o le usi a farti i giretti la domenica?
        Io li vedo a volte al parco, nel piatto di Milano, sembrano quelli che si comprano i Suv a trazione integrale e scocca rinforzata per andare all’Ipercoop il fine settimana con la famiglia.

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