La lingua muta… e si contrae

Leggo un pezzo in cui si parla di Doa. Visto il contesto, capisco solo che è un acronimo che appartiene alla scuola. Faccio una ricerca, tra i primi risultati: «I doa non sono l’ofu». Ah ecco, adesso è tutto più chiaro. Sento un certo dispiacere perché una volta i mondi linguistici quasi a sé stanti appartenevano solo ad alcune categorie, mai a qualcosa di intrinsecamente aperto come la scuola.

In una mail: La human-centered AI, unita all’approccio human in the loop, è la vision che dovrebbe ispirarci. Per quel che ne so, l’iuman in ve lup è quello in cui si cade quando si cerca di parlare con un call center.

Qualche sera prima avevo provato un altro dispiacere: esiste un’app per quelli che sciano che mostra loro sullo smartphone la pista che stanno per fare. Effettivamente, per quelli che si lanciano giù come razzi può anche essere utile sapere prima dell’albero malefico, ma per gli altri? Perché uno dovrebbe conoscere prima togliendosi il gusto dell’esplorazione? Questa app se esiste avrà pur un suo perché, il dispiacere sta nel non comprenderlo.

Ecco, io a volte ho l’impressione che il tutto aperto si stia scomponendo e ricomponendo in pezzi chiusi in se stessi.

Forse è per quello che mi piacciono i murales, anche quando sono solo scritte pasticciate, mi sembrano un grido ben preciso, una forma di comunicazione meno criptica di qualunque altra, anche quando manca loro qualche lettera…

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