Piuttosto che niente anche la tartaruga

L’irrefrenabile impulso della maggior parte delle persone è quella di rompere le scatole a qualcun altro. Sempre, o solo qualche volta nei casi più miti, dobbiamo esercitare il nostro potere su un altro vivente. Di solito è uno con le nostre sembianze, ma se proprio non ne veniamo a capo allora ci accontentiamo di altro. Quale soggetto migliore di una tartaruga che non parla, non emette versi e la sua capacità di offesa o fuga è alquanto ridotta?
Ieri mi trovavo in un bel giardino condominiale, era domenica, il sole splendeva, i colori dell’autunno rallegravano la vista, una condizione di pacificazione. Macché, nulla è mai sufficiente. Un paio di tartarughe se ne stavano per i fatti loro sotto a delle pietre. Forse già in letargo o solo a farsi un pisolo. Arriva una e le tira fuori a forza, sostenendo che non è ancora il momento del letargo (lo sa meglio di loro, ovvio), e gli caccia la faccia nel piattino con le carote e l’insalata. Dovete mangiare, ordina in tono imperioso. Io resto a guardare perplessa e sconsolata. Le tartarughe soffrono di anoressia? O di depressione? O sono colpevolmente pigre? Non sono in grado di regolarsi circa il sonno? Ci avranno messo due ore ad arrivare là sotto e ora dovranno mettercene altre due per tornarci. Neanche questo pensiero è bastato a fermare la bipede. Ma perché, così, d’emblée, una scende di casa e va a rompere le scatole a delle tartarughe? Perché è così che funziona il nostro cervello.

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