La Spagna all’Ippodromo San Siro

Piano City Milano, rassegna diffusa dentro e fuori Milano, tre giorni di musiche da pianoforte. Domenica 21 maggio all’Ippodromo San Siro c’è Antón Cortés, che non conosco ma mi basta sapere che suona il flamenco per prendere la giacchetta e andare. Anche perché il sole torna a concedersi dopo giorni di pioggia.

Come fa a suonare il flamenco senza chitarra? La domanda mi coglie impreparata, già, come fa? A introdurlo la responsabile dell’Istituto Cervantes di Milano. È un quindicenne gitano che sei anni fa ascolta del flamenco suonato dalla sua gente, si mette al piano e così, senza ah e né bah, inizia a suonare e comporre. Da allora è stata tutta un’escalation. E questo è il talento. Bene. Se hai scarsa autostima o non ci pensi proprio a misurarla, queste sono le storie che fanno per te, nel luogo dove anche i cavalli sono più belli e più bravi di te. Antón Cortés va sempre in giro a piedi nudi per sentirsi libero.

Musica calda, il cuore della Spagna si sente tutto, una bimba balla al di là delle tribune, si sta immedesimando in una ballerina sul palco con tutta la gente davanti, lo vedi dagli occhi furbetti quando si accorge che è proprio così che deve apparire la scena a noi spettatori. I ricordi di notti vive, paella, sangria e perritos calientes sono inframmezzati da un signore che va e viene ostruendomi la vista con una macchina fotografica professionale. E va bene, sarà di un giornale. I fumi immaginari della sangria si disperdono bruscamente. O siamo tutti blogger o siamo tutti persi nella paura che se non documentiamo non abbiamo vissuto quella cosa lì.

A parte i due neofricchettoni che ho seduti davanti già persi di loro e pochi altri, il resto è un continuo moto a luogo per riprendere, fotografare, trovare l’angolazione migliore, “mangiarsi” il ragazzino attraverso il cellulare. Il culmine lo raggiunge un signore di una certa età che gli si piazza alle spalle finché non interviene un organizzatore a dirgli di smetterla.

Imbocco la stradetta tra lo stadio e le scuderie.

Tra un murale e l’altro

domande sorgono spontanee: ma quindi esiste un altro tipo di flamenco? Questo non si balla, oppure sì, ma come?

Mi sono appassionata alla trasmissione di Rai 3 La gioia della musica perché le spiegazioni dei maestri mi hanno dischiuso il mondo sconosciuto della musica classica e lirica.
Per il resto dei generi il mio riferimento è sempre Carlo Crescitelli. Basta mandargli 32 secondi di audio ed ecco lo spiegone:

«No, no, questo è proprio flamenco flamenco, è proprio questa la cosa bella e particolare. Qui lui ha trascritto per pianoforte una danza flamenca (questa qui è una solea, cioè una di quelle tipiche arie malinconiche in cui la musica va avanti e indietro di un solo semitono e dà vita a quella particolare atmosfera sonora fra tragica e solenne) adottando anche accorgimenti di trascrizione interessanti: per esempio ha reso il tremolo della chitarra (che è quel famoso effetto “mandolino” della stessa nota pizzicata velocissimamente a raffica, che sul pianoforte è quasi impossibile da rendere) con un trillo (cioè con due note vicine velocissimamente alternate che danno un po’ la stessa idea). È una tecnica molto più difficile di quel sembra, quando vedi i Gipsy Kings ti sembra che lo possano fare tutti e invece…».

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