Settembre, è tempo di aspettare

Il blog languisce come se non fossi andata in vacanza. Ci sono andata, a luglio, in un posto dove è stato anche Ulisse. È uno che ha cincischiato un bel po’ prima di risolversi a tornare a casa e può essere che mi abbia lasciato qualcosa di sé in questo senso. Il racconto del viaggio l’ho scritto quasi subito, poi però mi sono messa a cincischiare con le foto, poi mi è venuto in mente di fare un video, nonostante la mancanza dell’ineguagliabile MovieMaker. Poi ho voluto la musica per il video, però quella gratis non mi piaceva, per cui mi è venuto sto delirio di averne una inedita.
Chiamo John Taylor dei Duran Duran: mi faresti un pezzo col basso? Ue’, come no? Ue’ è una tipica espressione di Birmingham. Ma si sa come son fatte le star… Quindi come Penelope aspetto. Non tesso fili ma foto e pensieri e tradisco un po’ il caro Argo con una storia di gatti.

Milano e i cambiamenti climatici

Mentre sono via si abbatte su Milano un disastro. Ci dobbiamo abituare, dicono gli esperti a noi di questa città raramente colpita da fenomeni estremi. Come si faccia ad abituarsi non lo so. Al ritorno vado al mio parco: alberi immensi giacciono morti, abbattuti dalle radici. Alcuni di loro sono quelli che tanto amo vedere in autunno quando esibiscono i loro bei gialli. Mi aggiro in bici tra questa desolazione pensando che il valore di un albero sta soprattutto negli anni che ci mette a diventare grande e bello, e ombroso e forte.

Strada sbarrata, alla Humphrey Bogart, sono costretta a ripercorrere l’intero parco.

Qualche giorno dopo passerò dall’altra parte, mi viene da appoggiare una mano su questo povero legno.


Milano e i cambiamenti umani

Si può fare un hotel di lusso in quella che era una chiesa? Evidentemente sì.

Agosto, è tempo di Bassa Padana

Lei è il cane del bar della stazione dei pullman di Cremona. Elemosina qualunque tipo di cibo da qualunque avventore. Mi sono affezionata a un cane che vedo una volta ogni tanto? Ovviamente sì.

Anche quest’anno mi toccano un paio di accompagni alle terme

Salsomaggiore Terme. Dopo circa sessanta chilometri di piata pianura, omida calura, piopi caredi, moschi sinseli, si vedono delle alture e in lontananza gli Appennini. Alture che però niente possono fare contro il caldo. La prima volta faccio un giro nel giardino

ma quasi subito mi affloscio su una panchina. L’unica cosa di me che si muove è il sopracciglio di rimprovero contro una città di terme senza neanche una fontanella. La seconda volta va meglio. Il celodurismo dei padani si esplica nell’adattarsi a trascinarsi dietro le due propaggini molli al posto delle gambe perché visto che sudi anche se stai fermo, tanto vale provarci.

Come ad Acqui Terme, come a Recoaro, anche qui si trovano i segni di un passato di fasti. E intendo proprio fasti. In particolare in questa cittadina, Salso, ti sembra di veder camminare damine con i loro ombrellini e distinti signori con la tuba, come fantasmi intrappolati in grand hotel e stabilimenti termali ormai decadenti o in disuso. Sbatto gli occhi e i fantasmi della mia fantasia vengono sostituiti da quelli ben più reali: perché, qual è il motivo? Quanti posti di lavoro sono andati persi?

Il bellissimo edificio delle Terme Lorenzo Berzieri (chiuse)

A volte le cose sono così stranamente brutte che diventano belle. Scultura di finti alberi alle Terme di Tabiano.


In mezzo alla piata pianura, ancora in provincia di Parma, c’è Diolo, frazione di Soragna, con il minuscolo Museo Giovannino Guareschi.

Lì accanto c’è un ristorante così bello, che sa tanto di uno di quei posti dove ti strafoghi di Emilia, da non poter resistere. Davanti alla porta il braccio mi scatta in fuori come un imperioso segno di alt: hanno vinto più di una volta la stella Michelin, chissà quanto ci fanno pagare. In questa estate che è stata la peggiore nella vessazione del turista i conti bisogna farli. Invece no, le stelle Michelin non li ha resi grifagni. È uno dei ristoranti più accoglienti che abbia visto, senza inutili ridondanze, caldo legno e zero acciaio. La ridondanza sta nel tramonto sul retro

e sul davanti, con le ombre calate sul piccolo museo e sulla locanda.

E nel cibo ovviamente. A Piacenza ti mandano in visibilio con pisarei e fasò, qui, all’Osteria Ardenga, con pisarei all’amatriciana di culatello, per tacer degli antipasti.

Testa di gatto

Il gatto dei miei vicini, non tollerando la presenza del cane, ormai da anni si era trasferito nel mio giardino. Quest’anno ha deciso di trasferirsi nel giardino a fianco. Perché l’abbia fatto non si sa. Un giorno viene alla mia porta. Che c’è? Sei tornato? Il giorno dopo ancora, sta lì e mi fissa. Capisco: quella dove si è trasferito di recente non c’è per cui è rimasto senza cibo. Lo dico alla sua padrona, che comunque è quella che continua a mantenerlo a crocchette. Fosse una persona, gli diresti che è un opportunista e gli sbatteresti la porta in faccia. Invece è un animale, e così il sacco di crocchette puzzolenti gira un’altra volta appresso al gatto che ama i traslochi.
Poi c’è lui, che non ha nessuno, non si fa amare da nessuno, non vuole farsi toccare da nessuno, che si mimetizza con il grigio delle pietre.

E io mi ci sono affezionata perché è bello, e tanto solo, ne sono quasi certa, per colpa di qualche animale a due gambe. Gli do qualcosa di mio, il latte alla mattina, ogni tanto entra in casa e si fa un giretto, io sto immobile per non spaventarlo. Un giorno sento cric-croc, si è seduto su un sacchetto di carta che avevo lasciato sulla sedia. È la prima volta che si mette in una posizione poco adatta alla fuga immediata, è un atto di fiducia nei miei confronti che arriva dopo anni.
Il giorno dopo entra l’opportunista e annusa dove si era seduto il solitario. In giardino sta vicino alla ciotola che uso per lui, stanno molto tempo insieme lì, sul confine immaginario tracciato dalla ciotola, si mette a bere il latte che non ha mai bevuto prima. Io mi metto spesso a osservarli, la cosa che faccio da tutta la vita. Il traslocatore si fa accarezzare da tutti ma non ama nessuno, il solitario ha solo me, ma il primo in qualche modo è geloso, ha paura di perdere il suo posto.

Le cose vive fan fare dei viaggi

Il fiore che dopo tanto caldo pare sorridere alla pioggia.

Le lumache che sembrano aver saputo che oggi si è corso il GP di Monza.


Tramonti e ritorno (nessuna di queste foto è stata ritoccata, il cielo non ha bisogno di caricature)

In campagna non ci vivrei neanche incollata al muro, ma tornare a Milano mi fa capire in quale stato di nevrosi continua siamo immersi. Finché ci stai dentro non te ne accorgi, o meglio, ti adatti, ma uscirne e rientrarne diventa sempre più pesante. I semafori sembrano rossi per un tempo eterno, le macchine sembrano portarti via tutto lo spazio fisico e il rumore, dopo tanto silenzio, che non cessa mai.

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