Sulla rotta di Ulisse

I pensieri schizzano come palline in un flipper toccando ora questa ora quella meta: Irlanda, Marsiglia, Lisbona. Troppo cara, troppo calda, troppo questo o quello. Le partenze sono intelligenti solo quando niente dentro ti trattiene. Il flipper fa Game over su Gaeta, anche perché c’è la possibilità di rivedere vecchi e vecchissimi amici. Riguardarsi in faccia dopo anni non ha prezzo. E così Gaeta sia, là dove approdò anche Ulisse.

L’impatto non è positivo. La spiaggia più bella di Gaeta, Serapo, è totalmente occupata da spiagge private. Impedire a una milanese anche solo di appoggiare lo zaino per entrare nel mare che sogna da un anno può finire che quella ti impartisce una lezione sul diritto del mare, oppure che cammini nell’acqua con le braghe tirate su imprecando come un camallo. Ma provvidenzialmente arriva la notizia di una spiaggia libera. Se vuoi prendi l’attrezzatura, se no te ne stai lì libero. E quindi se andate a Serapo, andate al Cicas, perché il mare è e deve restare di tutti.

Il giorno dopo è dedicato a capire come fare ad andare dove si deve andare. Con sconcerto scopriamo che le paline dell’autobus esistono ma non recano né la destinazione né gli orari. Quelli della Cotral almeno, perché le fermate dell’altra compagnia non hanno neanche le paline. Il sito Cotral dice di inserire il numero della fermata per sapere quando arriva il bus ma la fermata non ha numero. Allora inserisci la via dove sei o una limitrofa, e ti dice che è inesistente. Il camallo ricomincia a inanellare insulti sempre più complessi. Poi però ci si riesce, soprattutto grazie ai conducenti a cui tocca fare anche da servizio informazioni, che però sono gentili, quelli di Milano si sarebbero già attrezzati con una carabina.

Il secondo giorno il caldo è scemato, il mare si è infuriato, l’animo si è chetato. Mi sono fatta una ragione delle paline mute, mi hanno lanciato spaghetti con le vongole, mi hanno dato una spiaggia libera a due passi da casa e tutto appare più limpido, come il golfo di Gaeta dopo che la calura è stata spazzata via.

Per la gita in barca alla Grotta del Turco, Montagna spaccata (la chiesa “incastrata” tra la fenditura è intitolata a San Filippo Neri) e Pozzo del diavolo siamo alla mercé del volere di Poseidone, che ci farà attendere fin quasi agli ultimi giorni. Due ore di bellezza, si vede anche Ischia e, nelle giornate particolarmente limpide, il Vesuvio.

Intanto si prendono schiaffoni dal mare (forse è per questo che hanno una pasta che si chiama schiaffoni), si va a Formia, a Gaeta medievale, e proprio qui si viene invitate a cena, che ti conquisti solo dopo un’infinita sequenza di scale, che girano a destra e a manca tra vecchie mura che si aprono sul panorama del mare o su chiese ed edifici, alcuni rimessi a nuovo, altri con il fascino del fatiscente.

«Posso abbracciarvi?». Una frase che una volta neanche pronunciavi e che ora porta fuori il segno che ci ha lasciato dentro la pandemia. «Quanti anni sono che non ci vediamo?» «Quattro anni a settembre». Ed eccoli lì, Carlo e Giuliana, che li posso abbracciare veramente.
Andiamo nel delizioso borgo di Sperlonga, alla villa di Tiberio,

poi su fino a Itri, passando davanti al monte a cui mi ero già affezionata dal treno Roma-Formia perché così brullo mi ha mosso a tenerezza, e giù a Formia e ritorno.

Ritrovo in Giuliana la solita grazia e in Carlo la solita capacità di trasmettere allegria, che raggiunge l’apice quando si fissa su un obiettivo, tipo la ricerca di espadrillas e panama. Non tutte le cose possono stare dentro a pochi caratteri, la gioia di questa giornata è una di quelle.

Nascosta, tanto che se non te lo dicono non la vedi, c’è via Indipendenza, 1,5 chilometri di negozietti e viuzze in cui si apre una piazzetta, intitolata alla scrittrice Goliarda Sapienza e dedicata alla poesia.

La proprietaria di un bar ci legge con pathos alcune poesie scritte da un novantenne gaetano, ci racconta di qualche personaggio sopra le righe che popola il suo locale, che il giovedì diventa un caffè letterario. Tra tanta poesia non manca qualche burlonata.

Lasciare il mare è sempre una ferita, quante cicatrici dobbiamo avere dentro noi non costieri. E Roma sembra un po’ averlo capito, con le sue strade grandi, tutta quella storia che spunta ovunque, persino al limitare della ferrovia, là dove le altre città raramente si presentano con il vestito della festa, i suoi pini che «la vita non li spezza». E anche con la sua crostata di marmellata di visciole che non sapevo cosa fossero.

Solo un paio d’ore di fermo, San Giovanni in Laterano, una battuta coi poliziotti del metal detector: metta, metta la borsa, o ha una bomba? No no, non ho bombe.
Ma quella sono io! Quando leggo senza occhiali da vicino, quando penso: ma che ha scritto questo?, quando faccio una domanda a risposta multipla e mi rispondono ok. Io e san Matteo siamo entrati in sintonia.

«Qui non arriva la musica»

A questo punto avrebbe dovuto esserci il video con le foto e la musica inedita. Per ora niente colonna sonora, quindi niente video, ma arriverà, se slow hand non mi arronza arriverà. In attesa dei giri di basso, giro cantando «Se questa è l’ultima canzone e poi la luna esploderà, sarò lì a dirti che sbagli, ti sbagli e lo sai, qui non arriva la musicaaaa…».

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