Le parole pesano, come il piombo di certi anni

image_book.phpHo letto il libro di Mario Calabresi Spingendo la notte più in là per avere più dettagli sulla vicenda Giuseppe Pinelli-Luigi Calabresi, o forse “l’altra campana”, soprattutto in considerazione del fatto che dopo tanti anni è stata messa la parola fine: Luigi Calabresi non era nella stanza dell’interrogatorio quando Pinelli volò fuori dalla finestra. Una sentenza che contraddice decenni di tesi opposta. Il libro non delude, riporta una serie di fatti collaterali e non che da quegli anni arrivano fino ai giorni nostri. Ma c’è un’altra parte utile che va al di là degli accadimenti, che è poi quella che si rischia di non considerare mai perché raramente viene riportata nelle cronache. Ricompone un quadro per chi quel periodo lo ricorda poco o non lo ricorda per nulla perché non c’era ancora, ed è il lato umano. Il dolore dei bambini orfani, costretti a vivere per sempre con un vuoto a cui il genitore sopravvissuto fatica a dare una spiegazione. Forse è anche per questo risvolto che dà ancora più profondità alla storia che una frase mi ha colpito, l’ho letta e riletta per capire cosa ci fosse che non andava.

«La strage di piazza Fontana è avvenuta quasi trentotto anni fa. Quella bomba è più vicina nel tempo all’ascesa del nazismo al potere che all’impiccagione di Saddam Hussein. Sarebbe ora di consegnarla alla storia, insieme a tutta la stagione di sangue che nacque quel pomeriggio. Di voltare pagina, di parlare con più serenità, di capire cosa è successo e perché. Ma non sembra ancora possibile, in quanto troppe verità mancano (…)

Oggi ci si continua a chiedere dove siano i responsabili dei centocinquanta morti delle stragi italiane e quanto silenzio complice avvolga ancora la storia del terrorismo rosso.»

Prima ho pensato a un refuso, l’aggettivo rosso in relazione al terrorismo che provocò la strage di piazza Fontana. Ma non poteva essere. Non è in relazione a piazza Fontana, non è un refuso ma c’è comunque un errore. Il silenzio avvolge solo il terrorismo rosso? E allora come mai la vicenda processuale si conclude sostanzialmente con un nulla di fatto (anzi, no, con le spese processuali addebitate alle vittime e ai parenti delle vittime) a più di 40 anni di distanza? Supponendo che sia solo una leggerezza o un elenco mal formulato, resta il fatto che c’è una contraddizione: all’inizio Calabresi auspica, e con tutte le ragioni, che le stragi di quegli anni entrino di fatto nei libri di storia, e soprattutto nella storia del nostro Paese, poi però scivola. Ma il problema è che un giornalista dovrebbe conoscere il potere delle parole, dunque non dovrebbe disseminare bucce di banana in un Paese che non sa ancora abbastanza, e non solo per via dei depistaggi e degli infiniti misteri che circondano tutte le stragi, ma perché molta gente non sa, perché nessuno te lo insegna se non sei tu a voler sapere. Non si tratta di una mera suddivisione di responsabilità: questo l’ha fatto il rosso, quello il nero. Ma di non aggiungere ulteriore pulviscolo su un periodo che è già di per sé così oscuro.

Il 12 dicembre 1969 avevo 2 anni, mi avviavo a compierne 3. Le prime cose che ho saputo di quel giorno furono solo che mio padre lavorava al Credito Italiano di piazza Cordusio, il boato fu enorme e poi i tentativi di chiamare a casa. Poi intorno ai vent’anni lessi Morte accidentale di un anarchico di Dario Fo. Poi seguii le trasmissioni che parlavano delle stragi, di tutte le stragi. In mezzo ci sono i miei viaggi e i miei ricordi. Non riesco a ricordare piazza della Loggia a Brescia, so solo che ogni volta che sento la registrazione dell’attimo dello scoppio mi viene la pelle d’oca. Immancabilmente, ogni volta. Quando andai in piazza della Loggia per la prima volta, cercai prima la lapide, poi venne il resto. Bologna la ricordo. E ricordo che mi fermai alla stazione davanti alla targa. Poi arrivai per la prima volta alla stazione Garibaldi di Napoli. Aspettavo, mi guardavo intorno e vidi una lastra di marmo con una serie di nomi. Perché? Ci pensai, cercai di ricordare che cosa fosse successo a Napoli, ma con poca convinzione: ero in vacanza, e a volte mi viene da pensare che la vacanza non serve a staccarci solo dalle nostre beghe personali. È che forse questa strage non è pubblicizzata come le altre. O che forse Milano, Brescia, Bologna sono vicine a me. Quasi a chiedere scusa, lo cercai dopo: la targa riporta il nome di 17 vittime, 267 i feriti, bomba sul rapido 904 il 23 dicembre 1984, matrice mafiosa.

tribunaleHo sempre pensato che saremo un Paese normale solo quando verrà fuori tutto di queste stragi. Ma ormai non credo sia più possibile. E penso che sia per questo che ho dato tanta importanza a quella frase. O che ho trovato ipocrita, irriguardoso, da mentecatti far sparire la sigaretta dalle mani di Giovanni Falcone (accidenti, che brutto vizio che avevi), ritratto con Paolo Borsellino nella foto che campeggia sul Tribunale di Milano.

2 thoughts on “Le parole pesano, come il piombo di certi anni

  1. Avevo letto a suo tempo delle recensioni di questo libro, facendomi l’idea che si occupasse solo di vicende private, rifuggendo quindi da più ampie analisi storicopolitiche; ora però in effetti mi rendo conto che, dato l’autore, data la natura enigmatica dei fatti e data la loro inscindibile interconnessione con tanto sviluppo di tanta vita pubblica italiana nel corso degli anni e dei decenni a seguire praticamente fin oggi, quella mia idea di semplice diario privato non poteva che essere irrealistica.

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