Porta Nuova: che cosa ci faccio io qui?

È un post che esige una premessa. Non ho niente in contrario ai grattacieli, tant’è che il City Life è una delle mie zone preferite. L’architettura è arte, del viverci dentro ma arte, altrimenti non percorreremmo chilometri e non pagheremmo per vedere regge e palazzi. Sgombrati così i “eh, ma sei passatista”, “eh, ma non capisci niente”. È un post solo di sensazioni. Ci vado una volta e non mi piace, ci vado la seconda e non mi piace. Intanto gli anni passano e lei cambia e si arricchisce di negozi, ma non è che questo la renda migliore. Piazza Gae Aulenti, affossata tra i grattacieli, priva di sole, vetro e cemento, dove anche le cose vere sembrano finte, fredda come quando era solo un progetto su un filmato.
La terza volta mi allungo verso il Bosco verticale. Mentre sto col naso per aria, mi arriva questa sensazione di estraneità. Non è brutto ovviamente, con le sue piante abbarbicate sui balconi, ma non c’entra niente con Milano, non c’entra con me e io non c’entro con lui. Io non sono una turista, io sono di Milano e io e lei, qui, siamo estranee.
E poi arriva questa quarta volta per andare a vedere il Bam – Biblioteca degli alberi di Milano. Si annuncia a lettere cubitali su un solido grigio come il piombo. Si gira intorno per cercare un’entrata che non c’è. Forse un giorno ci sarà o forse resterà solo questo cubo grigio, come un giorno ci saranno fiori e alberi perché adesso ci sono praticelli di terra arida con ciuffi tristi e secchi che spuntano qui e là e una rete di tubi per irrigazione che non si capisce se funzioneranno un giorno o funzionano già ma inutilmente.
Piccola e colorata resiste in questa imponenza monocromatica.

Dall’altra parte, dietro il pistolotto di vetro, questa volta me ne frego della buona creanza: Dio santo, quanto sei brutto.

Un giorno avrai gli alberi anche tu ma adesso sei l’ultima parola del Credo (non è detto milanese ma cremonese, cosa ci sia di brutto in amen non lo so, ma quando una persona o una cosa è brutta come il peccato si dice così).
Sento freddo perché in questi giorni di primavera non sai come vestirti e io ho voluto fare il mediano tra chi va in giro in piumino e chi in maglietta. Ma sento freddo lo stesso ed è un freddo che non trova conforto in una qualche forma di caldo esteriore. Però riesco ancora a fare una battuta: io a Boeri gli mando il giuggiolo, voglio proprio vedere poi come fa! Il giuggiolo è infestante, non in senso scientifico ma nel senso che la lotta tra te e lui sarà sempre impari. Albero forte che non ha mai bisogno di niente, si riproduce in continuazione con radici forti come querce già da subito, strappi di qui, strappi di là e ti ritrovi sempre un bosco, orizzontale per estensione.

Torno in piazza Aulenti, seduta a bordo fontana.
– Ma chi ci abiterà li?
– Ho sentito solo di un calciatore a cui peraltro hanno svaligiato l’appartamento.
– Me l’hai già detto venti volte.
– (E allora perché continui a chiedermelo?) per il resto il Qatar.
Il resto cosa non lo so, un appartamento, due, tutto? Ma che ne so. Penso a quelle finestre oscurate, ai balconi alberati e pur privi di qualunque forma di vita: uno stendino, una scopa, una girandola per bambini. Mi guardo intorno: una marea di gente venuta giù con la piena, come si diceva una volta con spocchia tipicamente milanese, che si mischia a gente vestita normale con facce normali.
– Sicuramente quelli (gli abitanti del bosco) non si siederanno mai qui, non si mischieranno.
– Ah no. E poi saranno via per il weekend.
– Ovvio.

Non è servito scavare nella memoria, ricordarsi del luna park Le Varesine, delle prostitute sotto il cavalcavia che da piccola non capivo chi fossero, è qualcosa di ormai troppo lontano per essere netto nella memoria, la sensazione di freddo, del che ci faccio io qui? ha ormai raggiunto l’apice. Voglio tornare a casa. Lo dico a voce alta e suona strano persino a me.
Ci si rituffa in metro, in quel posto lì devi tornare negli inferi per ritrovare la «Milano a portata di mano, ti fa una domanda in tedesco e ti risponde in siciliano».