“Quarto potere”. Che il potere del cinema sia con te

Con un tempismo fuori tempo che non mi è nuovo, acquisto Quarto potere su Chili, sull’onda di quel sentimento che spesso mi prende: vorrei finalmente vedere un gran bel film, giusto poco prima di questi giorni in cui esce al cinema la versione restaurata. Ma non mi pento, è un film da vedere e rivedere.

Il “grande” film è quello che ti prende tanto da restarti addosso anche il giorno dopo, o dentro, che dir si voglia, forse fin giù nell’inconscio. Per avere questo effetto la regia è fondamentale, visto che le immagini passano prima dall’occhio. E in questo senso Quarto potere inizia subito rubandoti gli occhi, quasi incarnasse quella leggenda che narra di come gli specchi ti rubino l’anima. Bianco, nero, riflessi, volti in ombra, inquadrature dal basso, soffitti claustrofobici, all’inizio un frammento di omaggio all’espressionismo tedesco. Due ore in cui regia e fotografia arrivano al virtuosismo, ma non quello pedante, quello in cui il regista deve far sentire la sua presenza per dire “quanto sono bravo”.

Le inquadrature dal basso ricordano molto Hitchcock, o magari è stato viceversa, bisognerebbe riprendere i film girati da Hitchcock prima del 1941, data di uscita di Citizen Kane, considerando che il suo periodo “americano” incomincia nel 1940.

La storia inizia dalla fine e viene raccontata tra un alternarsi di presente e passato: chi ha conosciuto Charles Foster Kane narra ora del passato che ha condiviso con lui, ricomponendo così una sorta di puzzle (c’è chi nel film è intenta a farne uno, che è stato tradotto come rompicapo), avanti e indietro nel tempo i cui pezzi sono sì la realtà dei fatti, ma forse soprattutto il racconto di come ciascuno ha “vissuto” una personalità così forte.

Profondo il concetto che emerge in un dialogo tra Citizen Kane e un amico: i lavoratori non vogliono che sia tu a concedergli i diritti, li vogliono perché è sacrosanto averli. Come a dire: i diritti spettano di diritto, non può essere il potente di turno che magnanimamente li cala dall’alto perché altrimenti troverà sempre il modo di rinfacciarti quanto ha fatto per te.

(Io) confesso di aver per un attimo temuto che l’avessero rovinato con un doppiaggio recente, finché la voce di Emilio Cigoli e, più tardi, di Gualtiero De Angelis non sono arrivate a farmi tirare un sospiro di sollievo. Eppure qualcosa si sentiva… effettivamente è stato ridoppiato negli anni ’60, l’uscita in Italia è stata intorno al 1948. Di certo deve essere arrivato con dei notevoli tagli considerando le numerose parti rimaste in inglese.

Piccola curiosità: c’è un’irriconoscibile Agnes Moorehead, la mamma della strega in Vita da strega.

E in chiusura, con la stessa potenza del rullo dei tamburi prima dell’esibizione clou: Orson Welles in questo film è regista, interprete, co-produttore, co-sceneggiatore con Herman J. Mankiewicz. I suoi anni all’epoca? Ventisei, signore e signori, 26.